Esce il nuovo album  “LIGGENNI” di

Mimì Sterrantino e Marco Corrao

“UN LUMINOSO DISCO BLUES DAI COLORI SICILIANI”

Una perfetta fusioni di mondi folk, dove mandolino, tamburello, chitarra battente,  percussioni africane e fiati bandistici, convivono con la chitarra acustica e il banjo

Principesse, mostri, diavoli, licantropi, sirene e elefantini bianchi: questo è “Liggenni”, il nuovo disco dei musicisti e cantautori del messinese, uno dell’area jonica e l’altro di quella tirrenica.
Otto inediti per otto leggende che arrivano proprio da questa terra crocevia di due mari e due anime, che raccontano la Sicilia tra esoterismo, misticismo e paganesimo. I brani attingono a storie della tradizione scritta ma soprattutto a quella orale, quelle che ancora oggi i nonni raccontano.
Liggenni” è un’operazione documentale sospesa tra passato e presente: dal passato prende la tradizione del racconto, quella dei cantastorie, dal presente l’approccio musicale. Sì, perché l’approccio compositivo si discosta volutamente dallo stilema classico siciliano andando ad incontrare sonorità blues e country. Il risultato è una perfetta fusioni di mondi folk, dove mandolino, tamburello siciliano, chitarra battente,  percussioni africane e fiati della bande di paese convivono con la chitarra acustica e il banjo.
In fondo – scrive nella sua prefazione all’opera l’etnomusicologo Mario Sarica – quest’ultimo non è così lontano dalle sonorità dell’antico e dimenticato colascione siciliano (liuto a manico lungo di origine turca)”.
Sempre Mario Sarica, che delle tradizioni è custode e studioso (essendo anche fondatore e curatore scientifico del Museo Cultura e Musica Popolare dei Peloritani, nato per  ricostruire la lunga e complessa vicenda organologica dello strumentario musicale popolare),  identifica in questo lavoro di Sterrantino e Corrao proprio l’innovazione della cultura musicale classica. “Il loro approccio alla materia poetico-musicale siciliana – scrive, raccontando questo disco – evita il “già detto” e “ascoltato”, per riscoprire e rivitalizzare lo spirito creativo e affabulante dell’antica parola siciliana nella forma narrativo-musicale della leggenda. Nel loro cantare e suonare siciliano, a me pare di cogliere una purezza di spirito rara, che irradia un luminoso blues dai colori siciliani”.
 
LIGGENNI traccia dopo traccia (guida all’ascolto)
 1)    A principissa : Si narra di una Principessa mediorientale di nome Sicilia, costretta a lasciare la propria terra per sfuggire ad una maledizione lanciata dal mostro Greco-Levante che l’avrebbe uccisa all’età di 15 anni. Per salvarle la vita, il padre la mise su una barca e l’affidò al mare. Approdata su un’ isola semi-deserta, incontra un ragazzo,  unico superstite di una grave epidemia che aveva sterminato la popolazione, ed insieme ripopolano quella terra che in onore della principessa fu chiamata proprio Sicilia.
2)    Mori senza cruci : Questa più che una leggenda è la descrizione dell’antico rito pagano della “ammazzatina du porcu”. Racconta il paesaggio bucolico del 600 siciliano con i suoi personaggi: c’è Za Pina a surda, Don Sarinu, Turi u zoppu… figure tipiche delle campagne nebrodensi che sembrano uscite dai film di Ciprì e Maresco. Ma cosa succede? Il maiale che non ha paura dell’uomo che va per ucciderlo, gli chiede: “Dimmi chi è, chi ti ha portato fin qui. Dimmi chi sei…”. Ma lui lo sa, il suo destino è quello di subire una macabra esecuzione; morire senza una croce, perché ad accompagnarlo verso la fine saranno solo riti pagani e propiziatori.
3)    Gli schiavi del Sirina : Racconta di fantomatiche sirene che risalendo il torrente Sirina, nel territorio di Castelmola, rapivano i giovani siciliani richiamati dal loro canto in un abbraccio mortale. I giovani che si addentravano nella vallata non avrebbero più fatto ritorno a casa.
 4)    Rusulè : E’ la leggenda di un’assassina di nome Rosalia, Rusulè in siciliano, una vecchina vestita di stracci, che usciva di notte dal bosco incantato della SIRETA, territorio di NASO piccolo paese della provincia Tirrenica di Messina, con una falce in mano ad uccidere qualunque essere vivente le capitasse a tiro.
5)    A truvatura : “A truvatura”, in siciliano il TESORO ed in particolare il tesoro di Monte Scuderi, tra Rocca Lumera e Fiume Dinisi nella provincia Jonica messinese. La leggenda racconta come arrivare al tesoro, dei riti da compiere per far sì che venga alla luce. Si dice che la storia sia nata in seguito a casuali ritrovamenti di scrigni risalenti probabilmente alle dominazioni arabe del 900, quando, in preda al terrore delle razzie, i paesani nascondevano i loro averi sotterrandoli nelle campagne.
6)    A rutta du diavulu : Una grotta nel comune di Galati Mamertino che sembra essere la porta dell’ inferno. Mai passare davanti alla grotta senza un po’ di acqua santa in tasca. Questa storia viene  raccontata ai bambini per dissuaderli dallo scappare di casa nelle ore notturne. Nella zona tra Galati Mamertino e Longi, nel cuore del Parco dei Nebrodi, esiste una Grotta da sempre conosciuta con il nome de “La Grotta del Diavolo”: si narra che un mostro con gli occhi gialli, tre monconi, due denti aguzzi, uscisse dalla grotta ogni notte in cerca di donne e bambini da catturare e portare nel regno di Satana. Una notte, durante le feste di Natale, il mostro uscì dalla grotta e rapì il bimbo che in uno dei classici presepi viventi siciliani impersonificava Gesù. Un giovane del paese si calò nella grotta con un coltello per salvare il bambinello. Come finì la storia non si può dire, è solo dato sapere che Saruzzu, questo il nome del salvatore,  era molto coraggioso e non aveva paura nemmeno del Diavolo.
7) I lupinari : I Lupinari sono i lupi mannari di Castelmola nella contrada di Lupinaria nome di un piccolo borgo vicino Taormina. Il brano narra di scorribande notturne ed uccisioni misteriose nei primi dell’ 800. Tante le versioni dei racconti su questi  stregoni mutaforma. Nella versione di Castelmola si tratta di strani personaggi originari della Contrada Luppinaria che pare si tramutassero in grossi porci nelle notti di plenilunio e che scendessero al centro del paese seminando il panico tra gli abitanti che, per farli ritornare alle sembianze umani, dovessero pungerli con un bastone di castagno chiamato “ugghiata”.
8) U jancu lifanti : La leggenda è quella di un elefantino bianco che ritrovava i bambini dispersi, rapiti da contrabbandieri senza scrupoli per poi essere utilizzati come schiavi nelle miniere o nei campi da arare. E’ una storia di tradizione orale che in genere si raccontata ai piccoli per farli addormentare. Si narra che all’inizio dell’800 una presenza benevola si aggirasse negli antichi borghi sparsi tra i comuni di Naso e San Marco d’Alunzio. Era quella “du Jancu Lifanti”, l’elefante bianco. In Sicilia il mito dell’ elefante nano presente sull’Isola trova riscontro, oltre che nelle storie tramandate oralmente, anche nel ritrovamento di alcuni fossili di elefante. La leggenda parla del piccolo Micu, Domenico, un bimbo di poco più di un anno di età, disperso tra le campagne nei pressi dei borghi antichi. Tutti lo cercarono invano, ma l’elefantino bianco era riuscito a trovarlo ed a riportarlo a casa.

Il disco esce in distribuzione digitale e in vinile a tiratura limitata.

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