Può suonare come una provocazione, ma in realtà è più una questione di scaramanzia. Disco di platino è il titolo del nuovo lavoro discografico dei Dance with the bear, band ferrarese che, come molti, viene dal rock ma che con l’elettronica adesso ci ha preso molto gusto.
Il sound del disco, uscito il 24 ottobre, è quello tipico dei club ed è il vero filo conduttore delle nove tracce dell’album. Molti sintetizzatori, molte tastiere e qualche chitarra pesante compongono il concept del disco: 33 minuti in cui la band emiliana fa a pezzi la musica italiana per poi ricomporla a modo suo, tra vita vissuta e leggerezza, ma senza lo snobbismo che spesso invece risulta essere parte integrante di una certa fetta della scena alternativa.
Un disco da ascoltare a volume molto alto e con la voglia, perché no, anche di ballare. Come nel caso di Non cadere sulle spine, singolo che ha anticipato l’album, e che suona come uno sfogo verso qualcosa, diversa per ogni ascoltatore. Una traccia che invita muoversi, ballare e a non cadere appunto sulle spine, sui problemi, in modo quasi catartico forse.
“Disco di platino” è uno di quegli album da “testare” live perché la potenza dei Dance with the bear è proprio quella adatta ai club. Una musica da ascoltare ma soprattutto da vedere sul palco e poi, magari, da acquistare per ballare in cameretta.
Abbiamo fatto due chiacchiere con Matteo Pancaldi, bassista dei Dance with the bear ed ecco di seguito l’intervista:
Disco di Platino è il vostro nuovo lavoro. Perché questo titolo? E’ solo un auspicio o c’è di più?
R: E’ un grandissimo auspicio. Siccome sappiamo che non lo vinceremo mai un disco di platino in realtà lo abbiamo perchè così ce lo abbiamo a casa e lo appendiamo in sala prove. Non lo possiamo vincere per una serie infinita di ragioni. Forse la prima è che la nostra musica non è da disco di platino e comunque non potrà mai vendere più delle 500 /1000 copie che potremmo distribuire ai concerti. In realtà va bene così e noi siamo contenti di averlo fatto un disco di platino.
Il disco è prettamente elettronico. Quali sono le influenze vostre in generale e di questo album?
R: Suonavamo tutti in band rock. Poi abbiamo cominciato ad affascinarci alla musica da club, al mondo dell’elettronica e della techno. Siamo andati in sala prove e abbiamo provato a metterla dentro la nostra musica e poi da lì è nato tutto. E’ chiaro che adesso la cosa ha preso un netto predominio secondo me. Mentre nel primo disco siamo riusciti a stemperare questa passione per l’elettronica, da adesso invece ha preso una posizione predominante.
C’è futuro secondo te nella musica italiana per l’elettronica di un certo tipo?
R: Si però bisogna considerare che la linea la dettano le radio. Il discorso non è tanto legato al genere che fa il futuro della musica ma più quanto la radio ci dice di ascoltare. La sensazione è quella. Credo sia più una legge che dettano le radio piuttosto che il genere.
Cosa raccontate nelle vostre canzoni? Quali sono le tematiche predominanti del disco?
R: Raccontiamo quello che ci capita. Per esempio nel testo di “People under english pressure”, era un periodo che ragionavamo sulle band italiane che cercano di cantare in inglese. la maggior parte delle volte non si capisce niente. I testi hanno una grammatica e spesso anche significati abbastanza ambigui, strani o forse non sono neanche chiari a chi li scrive. Poi in quel periodo mi ricordo che c’era quel video che girava sul web di Grignani che faceva la comparsata con Omar Pedrini cantando “che ci vado a fare a vivere a londra” (https://www.youtube.com/watch?v=wyiAERE_G6M). Abbiamo unito queste due componenti e ci abbiamo scritto un testo. Questo per dirti della leggerezza con cui trattiamo gli argomenti.
Pochi giorni fa sono stati resi noti i nomi dei partecipanti al prossimo festival di Sanremo. Ha ancora un valore per la musica italiana?
R: Per chi ci partecipa sicuramente si grazie a tutti i soldi che portano a casa per royalties e passaggi radiofonici. Per chi vince il festival è chiaramente una svolta. Il problema è che chi partecipa non rispecchia in realtà tutto l’ambiente musicale italiano. Ne rappresenta una fetta di pochi privilegiati che ne possono far parte.
Cosa dovrebbe essere invece Sanremo nella tua idea? Magari una vetrina per chi vuole farsi conoscere?
R: Potrebbe anche esserlo. Mi rendo conto che una manifestazione di questa portata deve concentrarsi su una fetta particolare di ascoltatori. In realtà basterebbe che ci fossero più tipologie di Sanremo. Che fosse dato più spazio a certi festival indipendenti, il MIAMI ad esempio. Festival che vengono fatti soprattutto in estate in Italia e danno risalto ad un sacco di band che in realtà meritano tanto quanto le altre di andare a Sanremo.
Ormai da un po’ di anni quando si parla di Sanremo non si può prescindere da un altro termine che è talent show. E’ ancora possibile fare musica senza partecipare ai talent show? Qual è il ruolo di internet?
R: se parliamo di guadagni direi di no. Se parliamo di notorietà invece si. Oggi il veicolo è internet. Secondo me si è creata una sorta di scissione tra la popolarità e il guadagno. Da una parte il guadagno come quando negli anni 80 uscivano i successoni di cantanti che vendevano milioni di dischi. Se parliamo di popolarità è più legato a internet che ti da possibilità di farti vedere. Quante band ci sono che hanno popolarità ma magari faticano a pagarsi l’affitto.
Internet può essere a questo punto uno strumento che bypassa il circuito chiuso dei talent e delle radio?
R: Internet è un circuito parallelo. Se parliamo di guadagni non lo potrà mai sorpassare. Perché quello che ti danno i talent e le radio in termini di possibilità di guadagno nella musica, internet non può dartelo o almeno non può darti la stessa opportunità. Internet invece ti da un livello di popolarità quasi pari ma non ti fa raggiungere una fetta di pubblico propria dei talent show. In buona sostanza non c’è stato ancora il sorpasso tra il computer e la tv.
Venite dall’Emilia. Terra che ha dato tantissimo alla musica italiana. Qual è il vostro rapporto con la vostra città e la vostra terra? Influenza la vostra musica?
R: Ci sguazziamo alla grande nella nebbia qui (ride ndr). E’ bello perché ho notato che c’è particolare attenzione ai concerti da parte di chi è del settore. Qui in Emilia chi apprezza i concerti poi ci va davvero. Non ho trovato quelle resistenze che si trovano da altre parti d’Italia dove magari tu vai a suonare ma la band non ha seguito perché la gente non ci va a vedere la musica dal vivo inedita. In Emilia invece la gente va ai concerti. Pochi ma ci vanno e lo vivono. Il rapporto con quelle persone è ottimo e poi trovo l’Emilia anche una terra ispiratrice.
Ferrara è la città di Vasco Brondi che con il suo Luci della Centrale elettrica ha riscosso in questi anni un grandissimo successo nell’indie italiano. Che ne pensate del movimento indie e del successo che sta riscuotendo?
R: Obiettivamente le band che sono uscite in questi anni sono belle. Non ho quello snobbismo o l’invidia di altri per partito preso. Il pezzo “Cosa mi manchi a fare” di Calcutta è un bel pezzo. Il primo disco di Vasco (Brondi ndr) è un bel disco. Obiettivamente il panorama di band indipendenti che ci sono, in particolare qui nella zona perché Stato Sociale, Calcutta e Luci della Centrale elettrica gravitano tutte tra Ferrara e Bologna, mi piace. La scena indie italiana è sempre stata bella fin dagli Afterhours.
Hai qualche gruppo che ti piace e che ascolti con piacere nell’indie italiano?
R: Ho sempre ascoltato i dischi dei Ritmo Tribale. Poi ascolto ancora i dischi degli Afterhours costantemente. Ho ascoltato parecchi lavori di Calcutta.
Sarete in tour per promuovere il vostro nuovo lavoro?
R: Si, le date usciranno per Gennaio. Adesso il disco è in fase di promozione e per Gennaio pubblicheremo un po’ di date. Tutte le informazioni saranno ovviamente sulla nostra pagina Facebook.
Fabiano Catania
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