Da The Great Shake, ultimo album in studio, i Planet Funk non si sono mai fermati, hanno continuato a reinventarsi e a sperimentare: il loro Recall tour è iniziato lo scorso 25 novembre a Milano e il nuovo disco sta per uscire. Alex Neri ci ha raccontato della sua Juno-60, com’è lavorare in un collettivo e qual è la sua musica preferita.
Il tour è praticamente appena iniziato, dove ti trovi in questo momento?
Adesso mi sto godendo il freddo di Firenze in questi due giorni di pausa, un minimo di riposo per poi ripartire verso Napoli, Roma e Bari, ultima tappa della prima parte del tour che è diviso in due parti: una tra novembre e dicembre, l’altra tra febbraio e marzo.
L’album sarà già uscito quando farete la seconda parte del tour o dovremo ancora aspettare?
No no, si spera di sì! Abbiamo iniziato il tour in maniera anomala come facciamo sempre noi, cioè suonando live buona parte del nuovo album per testare i pezzi nuovi, per vedere la reazione del pubblico. Penso che quasi sicuramente a metà gennaio uscirà l’album, quindi la prossima parte del tour sarà accompagnata dal disco nuovo.
Sapete già quale sarà il titolo del disco?
La verità è che il titolo dell’album nuovo doveva essere “Recall” ma poi “Recall” è piaciuto al nostro agente live e quindi l’abbiamo usato per il tour. Insomma, al titolo nuovo ci stiamo pensando ma non lo sappiamo ancora.
Come fate di solito per decidere il nome di un album?
Tanti scelgono il nome di un singolo, è la via più semplice. Noi siccome siamo un gruppo abbastanza complesso e ci piace complicarci la vita, di solito cerchiamo di dare un titolo a seconda dell’esperienza più particolare che abbiamo vissuto durante la registrazione del disco. “Recall” ci piaceva proprio perché era una sorta di “richiamata” alle origini dei Planet Funk, visto che nel disco ci sarà la presenza di Dan Black che è il nostro cantante forse più riconosciuto dal pubblico insieme a Alex Uhlmann, e anche Sally Doherty che è la voce di Chase the sun e di tutte le canzoni cantate da una voce femminile.
Quindi un ritorno alle origini e all’idea di collettivo, collaborazione fra più artisti…
Assolutamente sì, in un momento del genere in cui forse di collettivo se ne parla poco, noi come al solito andiamo contro corrente e vogliamo rimarcare il fatto che la nostra è una piattaforma creativa. La vivo anch’io questa sensazione di libertà: tutti insieme per un periodo e poi ognuno fa anche le proprie cose. Questa è un po’ l’origine e un po’ la cosa che contraddistingue i Planet Funk dagli altri gruppi.
Come si fa a lavorare con più persone? Qual è la parte più difficile?
Non ti nascondo che all’inizio mettere più teste insieme, quando magari c’era anche meno confidenza, è stato difficile: ci sono state delle scornate incredibili, perché l’ego è una brutta cosa e da domare è ancora più difficile. Ma crescendo e conoscendoci sempre più in profondità abbiamo trovato una formula che in questo momento è, secondo me, più un piacere che momenti di tensione. È sicuramente difficile dal punto di vista logistico, perché avere un cantante che vive a Parigi, una che vive a Sheffield, uno a Napoli, noi a Firenze… insomma, logisticamente non è una cosa semplice da organizzare. Infatti passa sempre tanto tempo da un tour all’altro, da un disco all’altro, proprio perché mettere insieme le esigenze di ognuno di noi non è mai semplice. Però dal punto di vista del piacere dello stare insieme è sempre una bellissima emozione: c’è sempre il piacere di ritrovarsi, soprattutto in tour, che è il punto di massima pressione per un musicista.
Proprio all’inizio di questo tour avete testato i nuovi pezzi: com’è andato questo test col pubblico?
Una in particolare, di cui ti posso svelare il titolo, si chiama World’s end: ci siamo immaginati la fine del mondo ed è stato bellissimo perché nel disco è cantata da Alex Uhlmann ma dal vivo ci sono i cori di Sally, quindi c’è una sorta di remix in tempo reale di questo pezzo che è stata una bellissima emozione e ho visto che il pubblico ha reagito molto bene. C’è anche un altro pezzo cantato da Dan Black che funziona molto bene, anzi forse meglio dal vivo che nel disco che abbiamo fatto, quindi i test servono proprio per questo.
Sono passati cinque anni dal vostro ultimo album in studio: in questo periodo che cosa è cambiato nel tuo modo di scegliere i suoni e nella tua strumentazione?
Forse io sono quello che è un po’ più attento al nuovo, facendo il dj. Faccio una grande ricerca sul nuovo e mi sono reso conto che poi il nuovo è sempre preso dal vecchio: c’è un grande ritorno agli anni Novanta, che sono stati per me degli anni intensi, mi ricordo bene gli strumenti e i tipi di suoni che venivano usati. Quindi in questi frangenti mi dedico molto alla ricerca, ad ascoltare tanta musica, a cercare i suoni giusti, le tastiere giuste da poter usare nei live. Per esempio una delle tastiere che uso è una Roland Juno-60: una tastiera anni Ottanta che crea non pochi problemi dal vivo, perché essendo una tastiera vecchia ti lascio immaginare, però sono molto soddisfatto del tipo di suono. Tutte queste cose le ricerco nei periodi in cui siamo lontani e le metto poi a disposizione del gruppo, cosa che fanno anche gli altri ovviamente.
Qual è l’artista che ultimamente stai ascoltando e riascoltando e come fai a scoprire musica nuova?
Un artista che mi sta piacendo molto è Chet Faker, mi piace quello che fa perché mescola bene il funk con il pop, il rock con l’urban. È un artista molto complesso, ma come lui tanti altri… e per scoprire musica nuova ti confesso che utilizzo molto Spotify: quando trovo un gruppo che mi piace, poi mi fa vedere altre band correlate e scopro altri mondi e questo può succedere anche con Youtube, con iTunes e con tutti quelli che sono ormai i nuovi standard di musica. Tante altre cose le sto riscoprendo in vinile, invece. Compro il vinile e mi rendo conto che tanta musica che esce in vinile non esce in digitale e lì c’è tutto un altro mondo che io vado a scoprire. Forse un po’ più orientato al club, un po’ meno al pop e alla musica convenzionale, ma è un altro mondo molto interessante: in questo momento c’è una rivalutazione del vinile incredibile in Europa.
L’ultimo vinile che hai comprato?
Lo posso dire ma secondo me non lo conosce nessuno, è di un artista che si chiama John Swing, l’ho comprato la scorsa settimana. Un altro vinile che è uscito da poco e che sto riascoltando è un disco mio (Desert Rose, n.d.r.) che ho voluto fortemente uscisse in vinile: il vinile ha comunque sempre il suo fascino.
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