11 novembre, Catania, è il secondo appuntamento per la terza stagione della rassegna musicale Weak. Questa volta a La Cartiera, dove tutto era iniziato, dove il sole di Weak si era acceso per la prima volta. Piccolo e accogliente, La Cartiera è il locale perfetto per un live intimista e quasi sussurrato come quello di Alice Bisi, Birthh sul palco. Fiorentina, appena ventenne, suona la chitarra da quando aveva otto anni e adesso è in giro per promuovere il suo primo album, Born in the woods.
Sono da poco passate le 23, sul palco solo luci blu e la strumentazione: tastiere, pad, chitarre, batteria. È buio fuori e dentro in penombra, pioviggina, forse, ma siamo tutti nel rifugio perfetto, caldo e familiare. A mezzanotte, come l’inizio di un nuovo giorno, l’inizio del live di Birthh. Una figura esile e slanciata si avvicina verso il palco, la seguono Lorenzo Borgatti (chitarra e di tutto un po’) e Massimo Borghi (batteria). È Alice, in blue jeans e maglioncino knit. Si impiglia nel cavo del microfono, e noi ora nei suoi occhi, ora nelle sue parole, ora nella sua musica. «Ciao, noi siamo i Birthh», e dicendo siamo mette subito in evidenza quanto dietro al progetto Birthh ci sia una squadra con tutta la sua complicità. La timidezza di quella piccola cantautrice sul palco la mettono a tacere, già dal secondo pezzo in scaletta Queen of Failureland, solo le sue dita sulla tastiera e la sua voce che si spande dalle casse. Sulla tela bianca di Alice ci sono le pennellate in stile Bon Iver, gli schizzi di colore à la Daughter e Trentemøller. Le percussioni ci sbattono contro, le corde della chitarra ci vibrano addosso, ed è come se ad ogni brano ci aprisse la strada verso un sentiero che ci porterà ad un pezzetto del suo mondo.
Con Senses Alice imbraccia la sua chitarra, e continua a dipingere sulla sua tela. Questa volta un sorriso, quando dopo aver presentato la band dice «Ok, ho finito le cose da dire, anzi no ce le ho in scaletta ma ve le dico dopo sennò faccio un casino». Alice, che ama le contrapposizioni (nel suo disco troviamo la fisicità del corpo contro l’intangibilità delle paure, dei sogni e della figura tormentatrice e immateriale di un fantasma), anche questa sera segna il contrasto tra le sue canzoni tormentate, intime, introspettive, e l’intermezzo tra ogni pezzo suonato, in cui non alza quasi mai lo sguardo timido, ci ringrazia e illumina il nostro rifugio ombroso definendo coi suoni le nostre emozioni, e sorridiamo insieme: «Mancano le ultime due canzoni… come vola il tempo quando ci si diverte». Canta “You’re chlorine in my veins”, nel penultimo pezzo in scaletta, Chlorine, ma per noi è Vicodin senza effetti collaterali, lo scatto finale prima della vittoria, distensione e adrenalina insieme. Nel giro di un’ora ci ritroviamo alla fine del sentiero che stavamo percorrendo, silenziosamente: siamo arrivati a lei, o lei è arrivata a noi o ancora ci siamo venuti incontro.
Questa è la stata la prima data del tour invernale, iniziato in ottobre, ad essere sold out: «Grazie mille, è stato fighissimo», non smettono di ringraziarci, e noi andiamo via aspettando già la prossima storia che Weak vorrà raccontarci.
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