Le loro apparizioni sono centellinate, non li troviamo al pascolo così spesso. Ma nell’immenso gorgoglìo di musicanti, che di questi tempi si moltiplicano a ritmo cellulare, ecco qualcosa per cui valga veramente la pena sollevare le terga dal divano.
Se non avete avuto la possibilità insana di ascoltarli, il loro è un punk “synthetizzato”, con giri talvolta ridondanti tanto nelle melodie quanto in alcuni testi (di ferrettiana natura, perlomeno nella struttura e nel ricordo). Un apparente tripudio di nonsense, tra il faceto e il faceto (che poi, se stiamo un po’ attenti, qualcosa di “serio” i nostri la dicono pure). Ma ciò che veramente fa la differenza è che, i loro, non sono quei brani concettuali che tanto vanno di moda oggigiorno (tra indie, hipster e “pop-rock d’autore”); ascoltando il muggito d’esordio Transumanza Express (Doremillaro (SB)Recs), ci troviamo davanti a qualcosa di veramente curioso e, passatemi il termine, finalmente “orecchiabile”. Perché sì, una canzone deve restare in mente e, per mille motivi, i Bestiame riescono nell’intento.
Teatro Coppola che si riempie dopo un abbastanza inutile opening di Peloquin (a proposito di concettualità più che passabile) e che, in attesa dei quattro in grembiule, omaggia i convenuti con la filodiffusione di una particolare versione di Felicità (sì quella di Albano e Romina), seguita da una Sì o no di Fiorello, mai così tanto figlia del nostro tempo. Un intro farcito di versi bovini e grugniti di porci accompagna l’ingresso della band, che inizia a palpare gli avventori con un trittico di classici: Chernobyl – La mia ragazza – Piccoli muccioli. Pogo subito vivo al centro della sala e così sarà per quasi tutto il concerto. È la volta della nuova Bosco, ottimo viaggio tra suicidi tentati e compleanni disertati.
Poi la setlist scorre agile, tra i “manifesti” del gruppo (C’ho i problemi, Mi piacciono i bambini) e le nuove perle che biblicamente, quest’ultimi, vorranno darci. Breivik, Tanfo, Figliate, Berlusconi sono valide, assolutamente, ma magari un po’ influenzate dalla vena bovaryana. E via verso la fine dove, dopo un interludio ormai celebre come Mafia (vedremo quale sarà la sua “forma” finale, all’interno del nuovo lavoro), si pone un’altra pietra miliare del verbo: Mattatoio.
A onor del vero, e per assoluta onestà intellettuale verso una band che ha dato un’assoluta zoccolata musicale a questi ultimi cinque anni, i brucanti sono parsi, stavolta, un po’ meno brillanti nel complesso della performance o comunque leggermente meno compatti e amalgamati. Ma considerato il fatto che alcune varianti spesso nascono e scompaiono nel giro delle mezz’ore, si tratta sicuramente di un caso isolato (complice, magari, il capriccioso inconveniente alla sapida chitarra del sapido cantante, già amaro); ma parliamo di minuzie e, in barba al carbonchio, il Bestiame si consuma, eccome! Nell’attesa del secondogenito e nella speranza che sia saporito come il già storico fratello maggiore.
Mauro Gemma
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