Poco prima del live che i Ministri hanno tenuto al Metarock di Pisa, ho intervistato Davide “Divi” Autelitano, frontman della band, con cui ho avuto modo di tirare un po’ le somme a un anno dalla pubblicazione di “Cultura Generale”, e di parlare del fermento e della grande attenzione che sta pian piano rivolgendosi verso il circuito indipendente. A fine chiacchierata gli ho anche chiesto qualche anticipazione sui progetti invernali della band e sembra che qualcosa bolla in pentola.
A un anno di distanza dall’uscita di “Cultura Generale” che bilanci fate sull’album?
È stato un tour impegnativo che per la prima volta ha portato sul palco delle canzoni anche molto diverse a livello di sonorità, come già si disse in precedenti interviste, che hanno completato, forse in maniera estremamente funzionale, quella che era già la nostra scaletta degli anni addietro. Possiamo dire che questa volta abbiamo un bellissimo show, ovvero uno spettacolo fatto di canzoni che riescono a riflettere tanti colori e anche tanti chiaroscuri. Al di là del tour in sé, con tante date che ci hanno portati in giro per l’Italia, comunque il nostro bilancio artistico è estremamente positivo; ovviamente per conoscere il feedback della gente dovresti chiedere a loro, però credo che sia andata piuttosto bene.
Avete scelto dei suoni sporchi, in controtendenza rispetto a quello che sentiamo oggi, anche nell’indie, dove le produzioni esagerate stanno prendendo piede come mai prima d’ora. Cosa vi ha portato verso questa scelta?
Questo è quello che stiamo notando anche noi, cioè che si è accorciata la distanza che poteva esserci tra il mondo mainstream, con determinate sonorità patinate, e quello che è sempre stato l’indipendente, considerato come un mondo un po’ più sperimentale e anche un po’ più dozzinale a livello di sorgente, fattore legato più a questioni economiche che artistiche. Stavolta c’è stata evidentemente una rivoluzione, nel senso che il concetto di studio, anche rispetto alle strumentazioni musicali di oggi, permette una qualità molto alta, anche per chi non è per forza un addetto ai lavori di grandi sistemi; questa cosa in seguito è stata in un certo modo ben lavorata da alcuni esponenti della musica indipendente e ha fatto sì che oggi la distanza sia molto corta.
Noi abbiamo scelto invece delle sonorità, come dicevi tu, in controtendenza, ma in realtà l’abbiamo fatto perché il rock è sempre stato in controtendenza, non dico che debba per forza disgustare, è l’Italia che si disgusta un po’ troppo facilmente per certe sonorità, diciamola tutta.
Riguardo a questa attenzione del mainstream verso l’indie, penso a un programma come X Factor, che ha scelto Manuel Agnelli in veste di giudice, credi sia arrivato finalmente il vostro momento per prendervi delle rivincite?
Io credo che se Manuel ha fatto una scelta del genere, conoscendolo nel mio piccolissimo, penso che l’abbia fatto sicuramente pensandoci più di una volta. Se provo a immaginare quello che in realtà vuol fare Manuel, certamente ha una grandissima opportunità tra le mani, e penso che, per come ha sempre lavorato anche in passato, ciò che vorrebbe fare è insegnare che non solamente nei circuiti indipendenti esiste una musica valida, ma questa musica può essere sdoganata anche in altre sedi. Per me è un obiettivo molto difficile quello che si è prefisso con quest’esperienza che andrà a fare, però penso che sia assolutamente utile, sia per lui che per tutta la scena musicale, che si venga a conoscenza di tutto un determinato tipo di realtà, che poi alla fine abbiamo visto snocciolate in palchi probabilmente sbagliati come quello di Sanremo. Gli stessi Afterhours infatti furono i primi a esporsi in una cosa come Sanremo, perché giustamente la musica è una sola, non è che c’è una musica che va di là e una musica che va di qua. Penso che lui sia lì a fare da garante alla musica in assoluto, più che al movimento indie. Molto semplicemente è un discorso di approccio culturale e di background. Lui ha un background che, secondo me, quel tipo di dimensione non conosce e lì può raccontare molto bene un certo tipo di cose.
Torniamo a voi. C’è un brano di “Cultura generale” che, durante le registrazioni, vi ha richiesto più fatica?
Torniamo indietro di un anno e mezzo…In realtà non saprei dire; è stato realizzato tutto piuttosto di getto, non c’è un brano in particolare. Forse ti direi “Le Porte”, perché comunque era quello che aveva un certo tipo di sonorità pericolose, perché è un pezzo con delle velleità melodiche che si possono definire un po’ scomode, un po’ alla Virgin Radio. Fa parte di noi anche quello, ma riuscire a lavorarle in una maniera credibile è stato complesso. Abbiamo fatto delle scelte ardite, ma rimane comunque la cosa più complicata che abbiamo portato in quel disco, per me.
Io sono fatto di neve ha un titolo abbastanza ambiguo, a tal punto che molti hanno pensato fosse riferito alla droga…
Perché sono degli sciocchi… (ride)
In realtà di cosa parla, delle debolezze?
In realtà per come la interpreto io, perché sappiamo che la penna di quella canzone è di Fede, è una canzone che parla sì della fragilità dell’essere umano nella gestione di se stesso e dei propri rapporti, ma anche della gestione dei propri sentimenti verso una persona e del concepire la propria incapacità di trasmettere e infondere sicurezza nei sentimenti di un’altra persona, come se si stesse entrambi dentro una stessa barca, bisognosi entrambi di trovare delle certezze. Siamo una generazione che mai come oggi ha bisogno di certezze, non è un caso che la realizzazione di quel video volesse spostare più in alto l’asticella, verso valori più assoluti, non solamente nella dinamica interpersonale tra due persone, che possono condividere un sentimento, ma verso un sentimento di umanità nei confronti dell’umanità stessa.
Il video di questo brano vi ha portato a realizzare un progetto bellissimo, qual è il ricordo più bello di quei giorni?
In realtà è stato un giorno solo. Quel giorno è stato un giorno speciale per noi, perché ha fatto in modo che entrassimo in contatto con una realtà che è stata davvero abbandonata nell’ipocrisia e un po’ anche nel silenzio delle istituzioni. Questo villaggio olimpico a Torino è stato abbandonato dopo le Olimpiadi; si è preferito in qualche modo lasciarlo cadere a pezzi, invece di trasformarlo in qualcosa di più utile. Di conseguenza chi ha bisogno e trova utilità nello stare in un posto, perché ha bisogno di stare in un posto, visto che lo stare al mondo nessuno te lo potrà mai togliere, bisogna per forza stare al mondo, se l’è giustamente preso, con delle difficoltà, anche nel quartiere, non indifferenti. Quello che noi abbiamo visto è la grande diffidenza di queste persone nell’accettare chi proviene dall’esterno, perché poi i racconti che se ne fanno sono sempre molto pilotati da quelle che possono essere le ideologie e il malcontento di avere una situazione come questa tra le mani. Conquistare la loro fiducia è stato molto complesso, però estremamente gratificante nel momento in cui poi si è rotto quel muro e si è squarciato quel velo. Ci ha regalato tanto, difficilmente poi oggi si riesce a stare a contatto con quella realtà, ci proviamo comunque nel nostro piccolo a portarla avanti, ma è ovvio che ci vuole un sostegno molto più strutturato e direi istituzionale, in questo caso, cosa che però al momento non abbiamo visto. Non possono essere le persone comuni a risolvere un problema così grande.
Visto che ci stiamo incontrando al Metarock, voglio chiederti qualche consiglio su come si devono vivere i festival. Pensi che si debbano in qualche modo “educare” le persone che vanno ai festival a confrontarsi con realtà musicali diverse da quelle che sono solite ascoltare?
Io non so come funzioni, perché andavo ai festival portando nella testa la voglia di andare ai concerti e divertirmi e penso che questo spirito, nella musica che facciamo noi, rimanga. Non so come funzioni altrove, durante altri concerti e con altri artisti, però nel nostro caso non c’è stato un pensiero che ci ha portato a dire: “dobbiamo educare la gente”, perché la gente per noi si educa da sola, si autogestisce, lo ha sempre fatto e nel nostro caso, la cosa più bella che possiamo raccontare, è che la gente si diverte in maniera estremamente edificante e costruttiva, sia per loro stessi che per noi.
Cosa farete quest’inverno?
Penso che rifletteremo un po’ sul da farsi perché dieci anni di Ministri pesano sulle nostre spalle e sarebbe bello celebrarlo un po’ questo “compleanno”. Non lo so cosa ci riserva il futuro, sicuramente qualcosa la combineremo e poi esisterà l’altra metà di questo bellissimo mestiere che si chiama musica, che sarà quella di mettere insieme e riportare dentro la musica tutte le esperienze maturate in questo tour, con gli strumenti e le parole.
Intervista di Egle Taccia
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