I want to see some naked dudes/ That’s why I built this pool è una frase che ci hanno ripetuto fino allo sfinimento e che ha anticipato l’uscita di “California” nuovo lavoro dei Blink-182. Il frame appartiene al brano più corto di “California”, “Built this pool”, che dura solo 17”, postato in loop sulla loro pagina prima di dare alle stampe il loro nuovo lavoro. Che si riferiscano ad una nuova piscina o alla voglia di ritornare a calcare i palchi di tutto il mondo, lo lascio alla vostra libera interpretazione, posso solo dirvi che i Blink-182 sono tornati e sembrano più ironici che mai.
“California” segna il ritorno in pista dei Blink-182 dopo ben cinque anni di assenza. Uscito a luglio per BMG Rights Management, è un album in puro stile Blink, nonostante il cambio di formazione nella band, che agli storici membri Mark Hoppus (basso e voce) e Travis Barker (batteria) ha visto aggiungersi Matt Skiba (chitarrista e voce degli Alkanine Trio), in sostituzione di Tom DeLonge, dopo lunghi tira e molla nella formazione. La band nonostante i suoi 24 anni di attività è riuscita a mantenere costante nel tempo la sua identità fresca e spensierata, che riesce a trascinarci in un attimo alle nostre adolescenze. A loro va il merito di aver riportato sulla cresta dell’onda il punk-rock.
Ascoltando i suoi 16 brani è chiaro che si tratti di un disco nostalgico sia nei suoni, che ci riportano a quelli di “Enema of The State”, che nei testi, che ci parlano di amori lontani, della voglia di tornare indietro, della voglia di tornare a casa, a quel periodo in cui il successo non aveva fatto capolino nelle loro vite.
L’ironia e la freschezza dei Blink si mescolano ad una nuova consapevolezza e maturità. La malinconia, l’abbandono e la difficoltà di tenere in piedi una relazione sono il filo conduttore del disco, dove la California, le sue principali città e i suoi paesaggi fanno da sfondo al disagio di un amore finito, di uno stile di vita inappropriato.
L’uscita dell’album è stata anticipata da “Bored To Death” il classico brano che ci saremmo aspettati per un ritorno in grande stile, in cui basso e chitarra si uniscono in un’intro che più Blink non si può. Ascoltando l’album si possono rintracciare altri brani interessanti come lo sfogo di apertura “Cynical” in cui la batteria pesta davvero forte, oppure “Los Angeles”, che porta la band verso nuove sperimentazioni, quasi reggaeton nell’intro con influenze latine in levare, che vanno poi a sfociare nel punk tanto caro alla formazione. Poi c’è “Sober” con la sua confessione/preghiera I know I messed up and it might be over/ But let me call you when I’m sober. Altro brano apprezzabile è “No Future”, che spazia sul classico punk rock tanto caro alla band, per lasciare il posto ad una malinconica ballata, “Home Is Such A Lonely Place” e all’emblematica esclamazione Thank God for punk rock bands che risuona in “Kings of the Weekend”. “Rabbit Hole” è uno dei pezzi più forti e coinvolgenti dell’album, uno di quei pezzi che live potrebbe scatenare un pogo selvaggio.
Anche ai Blink capita di avere nostalgia di casa e la esprimono in “San Diego”, che ci parla dei concerti dei Cure, della loro vita prima del successo. Cenno a parte merita la title track, uno dei brani che preferisco, che è uno spaccato di mare e sole della California, appoggiato su note languide. Poi c’è la chiusura che fa un po’ il verso ai Queen per il suo titolo, “Brohemian Rhapsody”, e per quel coretto sul finale.
“California” è questo, né più né meno che un concentrato di tutto quello che i nostalgici dei Blink- 182 aspettavano da tempo, un vero e proprio ritorno al passato.
Egle Taccia
 
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