Phases in Exile segna il debutto solista di Miles Cooper Seaton, talentuoso artista americano. In questa lunga intervista, Miles ci ha raccontato nei dettagli il momento artistico e personale che sta vivendo e il progetto, grandioso, di portare la sua musica in venti diverse regioni italiane al fine di valorizzare la tradizione culturale di ogni singola comunità nostrana. Il tutto, poi, rigorosamente filmato per la realizzazione di un documentario che lasci traccia di questa straordinaria esperienza !
Phases in Exile è il primo album che esce a tuo nome dopo 14 anni di lavoro in cui hai registrato e ti sei esibito come Akron/Family: quando hai avuto questa idea e come è stato lavorare ad un progetto tutto tuo?
Quando ho iniziato a registrare “Phases in Exile” era meno di un’ idea ma più un fuoco che sentivo nel mio stomaco. Ho sempre lavorato alla mia musica ma quando il lavoro con Akron/Family è diventato più legato ad una più standard “indie music machine” mi sono trovato costantemente di fronte alla scelta di dove impiegare il mio tempo e le mie energie, se nel mio gruppo o nel mio progetto solista e, inevitabilmente, ho scelto di contribuire alla band. Ma dopo tanto tempo in cui ho messo da parte me stesso e i miei progetti (non ci si può aspettare che la band abbia spazio per tutte le mie visioni) ho capito che dovevo agire e lavorare da solo. Dopo tanti anni passati in simbiosi con altri musicisti, ero abituato ad attingere energia creata dalla resistenza delle reciproche idee; non avendo alcun tipo di muro, di blocco, è stato divertente scoprire dentro me un profondo pozzo di ispirazione. Stando solo sono riuscito ad esprimere una visione diversa della musica, più idiosincratica e potenzialmente più polarizzante, ho istaurato una relazione fresca ed energica con il mio istinto creativo e sono riuscito a prendere il tempo necessario per lavorarci su. Questo disco ha diverse versioni, infatti, una volta finito, l’ho accantonato per più di un anno, dopodiché l’ho fatto sentire a C+C = Maxigross che mi hanno raccomandato di pubblicarlo con Vaggimal / Trovarobato. Ho imparato tanto nel tempo trascorso da quando ho finito il disco e quando l’ho fatto sentire ai C+C, ho avuto la possibilità di scoprire il significato della musica in una nuova forma e contemplare e riscoprire il mio ruolo nel mondo come artista ma anche come uomo in generale. In breve: il processo di creazione di “Phase in Exile” è stato fondamentale per la mia crescita personale ed è un tentativo onesto e sincero di auto-realizzazione attraverso l’espressione, mi ha introdotto a me stesso.
Qual è il filo conduttore che lega insieme le tracce del disco?
Musicalmente ho cercato di creare un ambiente sonoro profondo e ampio per la narrazione, quindi c’è un filo conduttore nell’atmosfera del disco. I testi sono stati destinati a relazionarsi con la tradizione poetica di interpretare l’esperienza umana in generale attraverso l’espressione di esperienze di vita personali. È emersa a livello narrativo (a mia insaputa, fino a poco tempo fa) una trama lineare, un ordine cronologico, tentare di seguire le orme di opere di grandi maestri come John Coltrane in “A Love Supreme. C’è la valutazione del tempo, della morte e l’instabilità perpetua della vita, (“Out Here”) seguita da uno stabilimento di prospettiva: il narratore è vivo e solo nella vita, segue poi un’inchiesta e la ruminazione sul luogo del narratore nella più ampia macinazione del ritmo (“Pacts With Beasts”, “I Am That, It Just Does”). Da lì inizia a confrontarsi e cresce il dolore causato dall’isolamento e da i vari “se” che nascono da una riflessione esistenziale (“Little Prince, “Persona, The Killer”). Il proprio io viene lasciato solo, ma ora con profondo rispetto e pace. Dopo aver camminato attraverso questo vuoto (“Death And The Compass”), il narratore immagina un paradiso spirituale e mentale che si manifesta come vita tranquilla nel mare (“Case by the Sea”).
Hai deciso di creare una serie di concerti scegliendo di esibirti all’interno di aree di importanza culturale e storica appartenenti a venti regioni italiane: puoi dirci di più su questa interessante iniziativa!
Sono contento che hai trovato questa iniziativa interessante! Ho sempre fatto tutto il possibile per affrontare ogni performance come unica e speciale, il che significa voler fare un’esibizione da e per il posto in cui suono, tenendo conto non solo dello spazio fisico, naturalmente, ma anche delle esperienze personali di coloro presenti al momento dell’esibizione, le loro tradizioni culturali, la lingua, la storia collettiva, ecc. L’attuale importanza data alla tecnologia hanno determinato una rapida perdita del concetto di contesto o di dove e perché succede qualcosa o esiste. In questo modo il ruolo dell’artista come servitore civico e culturale è stato oscurato e quindi può essere molto impegnativo far riscoprire lo scopo da cui nascono le grandi opere d’arte. Senza scopo, l’arte diventa espressione nichilistica del capitalismo e il suo grande potenziale viene drenato e scartato. L’Italia e gli italiani, in generale, comunque, sembrano avere una comprensione intuitiva del luogo. Questo è evidente nell’incredibile e ricca diversità culturale che incontro mentre viaggio nel vostro Paese. Sono stato molto ispirato e coinvolto da questa diversità e forte identificazione con il luogo, qui da voi la gente vuole “sentire” e sperimentare le cose in prima persona, spinta da qualcosa che va al di là del lucro.
Lavorerai con un regista ed un cameraman italiano per catturare l’ “impressione” di ciascuna prestazione; i video verranno realizzati associando le interviste con i musicisti, i membri del pubblico, gli organizzatori, e, così via, si creerà, alla fine, un film documentario / concerto: da dove proviene tutto questo bisogno di tradurre in immagini il processo creativo?
Questa è una domanda interessante e onestamente necessita di una risposta multi livello. Punto di vista filosofico: la musica e le esibizioni sono forme di arte che si basano sul tempo e l’esperienza del momento, quindi, qualsiasi documentario, qualunque video che ne scaturirà, non sarà arte ma un’opera compiuta e finita. Penso che il desiderio di documentare l’esperienza sia naturale, la tecnologia ha modellato la percezione delle persone, spesso distratte, e il valore che esse assegnano all’esibizione dal vivo. Questa situazione genera in me un bel dilemma, perché sento che il potere di trasformazione individuale generata dalle performances è legato alla presenza del pubblico. Il ruolo del video è quello di portare la gente ad un livello più profondo nell’esperienza del tempo, della vita, delle emozioni provate in un determinato momento, per sempre inafferrabile, in modo da trarne il meglio di sé e del mondo che li circonda…decisamente un bel fardello artistico! Punto di vista socio politico: moltissimi dei musicisti italiani con cui parlo si sentono invisibili fuori dall’Italia; io, da turista, da visitatore, penso che ci siano problemi peggiori. L’Italia è incredibilmente bella e, dall’esterno, la qualità della vita appare decisamente molto buona. Perché, dunque, preoccuparsi di raggiungere notorietà là dove il cibo non è buono e tutti lavorano troppo per essere felici? Capisco che sia una grossolana semplificazione ma permettetemi di farla. Ovviamente posso capire il desiderio di essere riconosciuto anche fuori, l’Italia è geograficamente piccola, ma la sfida più grande, a mio avviso, è capire quanto sia incredibile il paese in cui vivete. A tal fine, documentare un’esibizione in un luogo incredibile, circondato dalla vostra stessa comunità, potrebbe aiutare molti a scoprire la magia dell’Italia e ad apprezzare quello che di solito, quando viviamo sempre nello stesso posto, siamo abituati ad ignorare. In aggiunta a questo, il mio sogno sarebbe quello di far vedere questo documentario al resto del mondo e agli artisti per testimoniare, ogni volta che l’obbiettivo inquadra qualcosa, l’incredibile ricchezza di talenti, di generosità, di tradizione e di magia che avvolge ogni comunità della vostra penisola, affinché l’Italia e i suoi artisti si sentano parte integrante del “dialogo artistico” globale.
Che idea ti sei fatto dell’Italia e del modo in cui la musica è concepita?
Ovviamente sto cercando di imparare il più possibile su questo argomento e un paio di osservazioni che ho fatto sono: la nozione di contro-cultura è molto viva qui in Italia e questo è per me una enorme fonte di ispirazione dal momento che ho iniziato a fare arte un po’ di tempo prima che Internet favorisse l’appiattimento di codici estetici emarginati. Robe come il punk o arte sperimentale o la cultura queer radicale non sono solo concetti di moda, sono ancora un modo di vivere qui. Questo può essere da un lato frustrante in quanto comporta molte sfide per la comunicazione tra le culture, ma è esilarante e incredibile vedere le persone che ancora vivono con i loro principi, in un modo che mi ricorda le mie radici nella scena punk. Un’altra osservazione che mi è venuta spontanea fare è questa: per quanto riguarda le giovani band che cantano in inglese e che suonano una musica moderna vagamente “indie”, di sicuro sono state influenzate dalla musica americana e, in particolare, inglese. In America siamo cresciuti con la cultura nero-americana che ci ha dato il Rock ‘n’ Roll e il Jazz, per cui sentiamo e siamo influenzati dagli stessi suoni e dalle stesse sensazioni che hanno influenzato tutta la musica che è venuta prima di noi avendo così la possibilità di trarre più facilmente ispirazione dalle radici e non dal risultato. Un desiderio che nutro per questo progetto e, in generale, con il lavoro qui in Italia è provare a far familiarizzare i ragazzi con tutto questo ma, ancora di più, incoraggiarli ad esplorare le più peculiari tradizioni artistiche italiane
Cosa puoi dirci sulle date che terrai in Italia?
Cosa posso dire? A Verona abbiamo messo in scena il primo di questi eventi in una chiesa abbandonata nella città vecchia, i musicisti provenivano principalmente da band locali ed erano molto giovani, sia per età sia per esperienza, e per molti di loro è stato insolito vivere il concetto di arte come servizio. È stato molto interessante scoprire come potrei servire la comunità, e, l’impegno collettivo e l’intensità dell’attenzione che mi è stata riservata, mi hanno davvero commosso. Ho scoperto che il risultato estetico del lavoro è decisamente meno importante della manifestazione collettiva in sé, dell’espressione spirituale ed emotiva del complesso umano. In questo senso, è stato un grande successo ! Come era il suono? Le persone mi hanno detto che sembrava ottimo … ma chi se ne frega? È stato incredibile, fantastico! Per quanto riguarda il resto delle venti date, non tutte sono confermate ancora, ma sono sicuro che molto presto ci saranno più informazioni su dove e quando si terranno questi spettacoli. Anche se sono molto fiducioso, ho già capito che sarà un processo lungo completare ogni regione e che probabilmente, in qualche regione, ci sarà più di uno spettacolo. Sono felice di avere un progetto che ha bisogno del suo tempo per evolvere naturalmente, l’Italia è un posto ideale da gustare lentamente!
a cura di Laura De Angelis
ringraziamo Valerio Vergani per aver collaborato alla traduzione
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