In alcuni concerti la location non influisce sulla perfomance degli artisti in quanto la qualità detta legge. Altre volte invece quando la qualità è di per sé già molto alta, la location diventa quel surplus che rende speciale il live. Questo è il caso della data ragusana degli Afterhours, dove l’incantevole Castello di Donnafugata con il suo loggiato ha incorniciato il concerto regalando una vista speciale.
Gli Afterhours da qualche mese stanno girando per l’Italia presentando il nuovo “Folfiri o Folfox”, album nuovo ma che contiene all’interno sonorità radicate nell’evoluzione musicale del gruppo. Così pezzi nuovi diventano punti fermi come se li avessimo ascoltati e cantati da anni. La prima parte del live è stata incentrata appunto sui pezzi recenti.
Tutto inizia con “Grande” e un Manuel Agnelli solo sul palco che ci apre il suo cuore, a metà pezzo l’intera formazione entra sul palco e lo accompagna. Via così “Ti cambia il sapore”, “Il mio popolo si fa”, “Non voglio ritrovare il tuo nome” che il pubblico canta a gran voce. Solo quattro pezzi e già l’energia, che dal palco e da ogni componente si emana sul pubblico, è forte. Si percepisce subito che il gruppo è carichissimo e molto affiatato, duetti tra i componenti scandiscono quasi ogni canzone. Gli Afterhours sono tornati, e in gran forma, non è possibile non ostentare la maestria di ognuno dei componenti. Un tripudio di salti e urla vivacizza il cortile per “Ballata per la mia piccola iena”.
Manuel esce dal palco e si rifugia per qualche minuto all’interno del castello. Sullo stage resta la potenza del suono rock ed elettrico emanata da Dell’Era, Xabier, Stefano Pilia, Rodrigo e Rondanini che introducono uno dei pezzi più sensuali, è “Varanasi Baby”. Ritmo, incitamenti e battito di mani per “La vedova bianca”, le pose plastiche di Xabier che incita il pubblico vincono. Un discorso sul combattere per raggiungere i propri obiettivi introduce “Padania”: “lotti, tradisci, uccidi per ciò che meriti…puoi quasi averlo sai”.
Uno dei pezzi nuovi che meglio riassume la grinta musicale e testuale del gruppo arriva a far ballare e cantare tutti, “Né pani né pesci” che si chiude con un grazie intenso ripetuto tre volte da Manuel. Quasi scoppia tutto con “Male di miele”, poi la strumentale “Cetuxibam” chiude questa parte del live. Piano, voce e intimità portano sul palco “L’odore della giacca di mio padre”. I sonagli e il buio quasi pesto ci presentano “Il sangue di Giuda”.
Virtuosismi à gogo, assoli, duetti ed empatia governano gli ultimi pezzi con un Manuel che suona la chitarra con l’asta del microfono. L’illusione della fine del concerto è stata sfiorata per ben due volte, ma ben compensata dai pezzi dei due encore. Chiude il live la profetica “Bye Bye Bombay” che nella nostra mente diventa un “Bye Bye Afterhours”. Due ore piene di rock, quello vero, quello che dovrebbe ascoltare chi dice che in Italia il rock è morto. No caro, il rock italiano sono gli Afterhours!
Federica Monello
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