Insiders è la rubrica in cui vengono intervistati coloro che si occupano di musica e che ci permette di scoprire il mondo musicale da un altro punto di vista.
Oggi ho incontrato Giuseppe Piccoli della comunità “Sei tutto l’indie di cui ho bisogno”, che da qualche giorno ha raggiunto la soglia dei 20000 like su facebook, ricevendo moltissimi video dagli idoli dell’indie nostrano.
Chi meglio di lui può darci un’idea del movimento che ruota intorno alla musica indipendente italiana?
Presentati ai fan di Urbanweek, spiegandoci chi sei e di cosa ti occupi esattamente!
Ciao, sono Giuseppe Piccoli, ho 33 anni, origini pugliesi e vivo a Roma. Nella vita mi occupo di brand monitoring, ma ascolto musica da quando ero bambino, concentrandomi nell’adolescenza soprattutto sui movimenti musicali stranieri (soprattutto rock, folk e alternative) dagli anni ’50 fino a quelli contemporanei. Nel 2011 comincio a scrivere di musica indipendente italiana sul mio blog, (S)controBlog e nel 2013 ho fondato insieme a Gian Marco Perrotta la community Facebook “Sei Tutto L’Indie di cui Ho Bisogno”. Dal 2015 sono anche label manager di Diavoletto Netlabel, etichetta indipendente fondata da Giando Carbone.
La tua pagina “Sei tutto l’indie di cui ho bisogno” è un centro gravitazionale fortissimo per molti progetti indipendenti. Da poco è arrivata ai suoi 20.000 like! Ci parli di come è nata e di ciò che l’ha portata ad essere così importante per i fan dell’indie?
La pagina è nata dall’incontro tra me e Gian Marco, che ci siamo ritrovati a vivere casualmente nella stessa casa, scoprendo di condividere la stessa passione per l’indie italiano e per la costante e instancabile voglia di ascoltare qualcosa di nuovo e misconosciuto. Era il 2013 e a quei tempi canticchiavamo molto “Pornobisogno” dei Management Del Dolore Post Operatorio. Dal ritornello di quel pezzo nasce il titolo della pagina.
Inizialmente Sei Tutto L’Indie Di Cui Ho Bisogno nasce dall’urgenza di condividere e diffondere musica nuova o alternativa che aveva poca visibilità nei grandi mass media, con una certa coerenza editoriale. Era nato tutto per gioco, ma poi ci abbiamo messo tanto impegno, costanza, voglia di migliorare, cercando di stare sempre sul pezzo e di informare senza prenderci sempre sul serio, svelando anche gli aspetti più divertenti che ruotano attorno ai personaggi dell’indie italiano e al rapporto col loro pubblico.
Il principio è stato quello di sfruttare la popolarità di alcuni (inizialmente soprattutto Vasco Brondi, Brunori Sas, Ministri, Zen Circus, Lo Stato Sociale, L’Orso) per attirare l’attenzione verso un fenomeno in realtà più vasto, zeppo di proposte interessanti.
La direzione che abbiamo sempre cercato è la creazione di una vera e propria community che interagisse costantemente, si confrontasse e fosse in grado di generare passaparola su un fenomeno culturale e di costume visto come un “unicum”.
Per raggiungere questo obiettivo organizziamo contest, rubriche e sondaggi, oltre che pubblicare tanta musica. La risposta è stata superiore alle nostre aspettative e ora siamo a più di 22.000 fan raggiunti in meno di 3 anni, tra i quali troviamo artisti, booker, redattori, gestori di live club, uffici stampa, e ultimamente anche agenzie e brand esterni al mondo della musica.
Ti occupi del progetto “Loverground” di cui anche Urbanweek fa parte. Vuoi aiutarci a spiegare al pubblico qual è il nostro progetto comune e verso dove stiamo andando?
Loverground rientra nel concetto di promozione della musica indipendente/emergente/alternativa italiana vista come fenomeno unitario. E’ un network che coinvolge ben 12 pagine Facebook riunite sotto uno stesso logo, espressioni di realtà che si muovono nella musica indie tra community, stazioni radio e webzine. Al momento la nostra attività si concentra prevalentemente su Facebook con la redazione di playlist mensili (trasmessa anche su Fusoradio) con 12 pezzi usciti nell’ultimo mese ciascuno scelto da una pagina diversa e playlist tematiche. Tali playlist vengono pubblicate alla stessa ora da tutte le pagine coinvolte. In futuro vorremmo portare l’indie italiano anche fuori dai confini nazionali collaborando con redazioni straniere. Oltre Sei Tutto L’Indie Di Cui Ho Bisogno e Urbanweek troviamo E Q U I N D I E ?, Indie Italy, Indieani Metropolitani, INDIEfferenti, Il Dottor Divago, Jolly Blu, La Buona Musica (indie e non solo), Le Rane, Strawboscopic e Talassa.
C’è una band, un progetto discografico, a cui sei particolarmente legato? Ci racconti perché?
In realtà ci sono tantissimi progetti ai quali siamo legati, che ci fa piacere in qualche modo aver contribuito a lanciare e con alcuni abbiamo instaurato un vero proprio rapporto di amicizia e sceglierne uno è arduo.
Cito solo La Ragazzina Dai Capelli Rossi, il cui rapporto è nato sulla pagina ed è proseguito addirittura a livello discografico e manageriale. E’ stato molto stimolante e divertente.
Che periodo sta vivendo la musica indipendente?
Un periodo paradossale, tremendamente segnato dall’influenza del web sotto il profilo distributivo e promozionale. Da un lato abbiamo una produzione sterminata che può essere caricata da tutti tramite piattaforme come YouTube e Soundcloud. E’ un fatto positivo, ma anche un’arma a doppio taglio: far ascoltare i propri lavori è molto più semplice, ma dall’altro lato il pubblico si trova davanti a un eccesso di informazione e deve selezionare. Allora entra in gioco innanzitutto la capacità di auto-promozione: utilizzo dei social per raccontarsi e suonare tanto in giro. Poi se la tua musica piace anche alla critica allora hai il vantaggio di essere citato da testate e “top influencer”. Sembra facile ma sono necessarie oltre che un prodotto che piace a una massa significativa di persone (imprescindibile), doti comunicative e contatti giusti.
Un altro aspetto che caratterizza la musica indipendente è la battaglia da combattere contro le major, e qui entra in gioco la sopravvivenza: le major hanno in mano i più potenti canali di diffusione su scala nazionale: radio e televisione (talent in primis), mentre le piccole etichette indipendenti devono arrancare per ritagliarsi i loro spazi. Questo strapotere si evidenza anche laddove in teoria la musica indipendente ha maggior facilità di accesso: le piattaforme web come Spotify e YouTube. Purtroppo anche qui a etichette e musicisti indipendenti restano le briciole e ricavi da fame. Un aspetto sul quale bisogna unirsi e combattere.
Quali sono le principali scene su cui si sta sviluppando l’indie e quali le caratteristiche di ognuna di loro?
Questa domanda è l’occasione per descrivere lo status “creativo” della musica indipendente italiana e da questo punto di vista credo non possiamo lamentarci. Tuttavia data la vastità e la forte frammentazione del panorama è davvero difficile classificare gli artisti in scene, anche se c’è da dire che laddove questa è presente si crea un vantaggio individuale per i componenti. Le scene possono nascere sia dagli artisti (spesso per origine geografica) che dalle etichette.
Quando si parla di “scena” quella più in voga è sicuramente la “scena romana” fondata su artisti che si rifanno un cantautorato più scanzonato degli anni ’70 (Venditti e Battisti in primis): Calcutta, I Cani, Thegiornalisti e Leo Pari, che hanno saputo promuoversi come un unico movimento attraverso strette collaborazioni.
Poi c’è la scena dei cantautori classici perlopiù meridionali come Dimartino, Colapesce, Bianco, Niccolò Carnesi, Dario Brunori, Iosonouncane (più sperimentale), Vasco Brondi, Dente, Appino. Tra le nuove leve Giovanni Truppi e Francesco Motta che sperimentano sonorità più rock.
Un altro caso è quello della scena “Garrincha” che ruota attorno all’ottimo lavoro di promozione fatto dall’omonima etichetta: Lo Stato Sociale, L’Officina della Camomilla, L’Orso e Verano in primis.
Da annoverare la scena rock underground: Fast Animals And Slow Kids, Voina Hen, Gazebo Penguins, Venus In Furs, And So Your Life Is Ruined, Mary In June.
Infine va citata l’ottima scuola elettronica italiana: Cosmo, Populous, Clap! Clap!, Godblesscomputers su tutti.
Ne ho citate solo alcune, le più vive al momento, altrimenti questa intervista si trasformerebbe in un trattato!
Egle Taccia
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