Ho intervistato Nicola Manzan per parlare di “Discordia” il nuovo album dei Bologna Violenta. Abbiamo parlato dell’accezione che dà al termine pop e del perchè lo accosta a questo album, della trasformazione del progetto con l’ingresso di Alessandro Vagnoni e del loro rapporto con un certo tipo di critica.
Perché avete deciso di intitolare l’album “Discordia”?
Ci sembrava un titolo appropriato per rappresentare i nostri tempi, un’immagine chiara di quello che sono molti rapporti tra gli esseri umani e il mondo che li circonda.
 
Lo definite come un disco bellissimo, ma molto pop. Oggi è un limite essere pop?
Lo è nel momento in cui si pensa in termini di leggi di mercato e tipo di audience. La nostra definizione voleva essere un modo diverso per dire che il disco è nello stile dei precedenti lavori, ma stavolta è più melodico e più accessibile, per certi versi. Quindi pop. Ovviamente l’abbiamo scritto perché questa cosa ci fa ridere, un po’ come dire: “scusate se siamo diventati commerciali”, anche se poi di commerciale c’è ben poco. Siamo lontani dalle cifre che fanno gli artisti pop, in tutti i modi la si guardi. Qui siamo sempre in ambito underground, quindi se per “pop” intendiamo le cose che passano in tv e network radiofonici, beh, forse è davvero un limite essere pop, perché alla fine non escono da lì, non fanno tour, rischiano di essere lasciati per strada da un momento all’altro. Se “pop” significa che si arriva a più gente in generale, senza doverci neanche pensare perché i pezzi escono spontaneamente così, beh allora ben venga esserlo.
 
Cosa è cambiato nel tuo modo di lavorare ai brani con l’ingresso in band di Alessandro Vagnoni?
In passato quasi tutti i pezzi che ho fatto per BV sono nati da una batteria che ho “scritto” direttamente nel programma che uso per registrare. Quindi il lavoro veniva fatto senza pensare alla suonabilità del pezzo, ma era tutto volto a creare un fraseggio ritmico che funzionasse di per sè, anche senza altri strumenti sopra.
Con Alessandro ho fatto lo stesso, ma stavolta le batterie le ho fatte fare direttamente a lui, quindi mi sono trovato una trentina di pezzi su cui lavorare. La grossa differenza è che mi è venuto in qualche modo a mancare quel tipo di fraseggio di cui parlavo sopra, visto che ora la batteria è suonata, ma con un sapiente taglia e cuci sono riuscito a rendere il tutto parecchio contorto. Ovviamente non mancano i pezzi più “dritti” che, come Binario morto, non sarebbero usciti se non fossero stati scritti almeno nella parte ritmica da un batterista.
Oltre a tutto ciò Alessandro ha anche registrato i bassi e mixato il disco, quindi ho delegato a lui una grossa fetta del lavoro.
 
Quali sono i sentimenti che hanno dato vita all’album?
Volevo che questo disco fosse una specie di riassunto di quanto fatto fino ad ora col progetto, sia a livello stilistico, che a livello delle tematiche trattate. Il tutto poi è stato fatto in un periodo in cui stavo un po’ tirando le somme della mia vita, in cui mi era per un attimo sfuggito il senso di quello che stavo facendo. Quindi ho deciso di mettere sul disco solo le cose che mi convincessero al cento per cento, cercando di fare un lavoro al massimo delle mie capacità. Volevo fare un disco di BV che mettesse una specie di punto fermo, per poi poter ripartire da qui e andare avanti per creare magari qualcosa di completamente nuovo. In più mi piaceva l’idea di mettere insieme tutto quello che ho fatto fino ad ora, a livello musicale, e cercare di renderlo al meglio, come se i pezzi del primo album fossero registrati oggi con tutto il bagaglio di esperienze che ho ora.
 
“Un disco di cronaca è stato più che sufficiente per farmi capire che certi piedi non vanno calpestati”. Da cosa scaturisce questa tua dichiarazione, che certamente si riferisce a “Uno Bianca” e quanto “Discordia” può considerarsi la presa di coscienza di questa realtà?
Prima che uscisse il precedente disco, quando abbiamo mandato le prime newsletter su copertina e tour, la notizia è arrivata anche ad una testata giornalistica bolognese che si è scandalizzata perché pensava che avessi fatto un disco a favore della banda. Ovviamente non era così e nonostante glielo avessi spiegato per più di un’ora al telefono, sono usciti un paio di articoli abbastanza pesanti nei miei confronti e nei confronti del disco (con tanto di editoriale e interviste con foto nella sezione della Cronaca). Tutto questo ha un po’ scatenato una serie di eventi che mi hanno davvero fatto capire che di certe cose in Italia sarebbe meglio non parlare. Ora, visto che il mio intento nella vita è quello di suonare e non di fare il giornalista o l’investigatore, volevo semplicemente dire che questo è un disco che parla di altro, nonostante dalla copertina si possa pensare che il concept sia riferito a quello specifico incidente ferroviario. Questo è un disco di musica, che suggerisce degli argomenti e delle situazioni di un certo tipo, ma che non racconta niente di vero.
 
Che tipo di scaletta porterete nei live e quali novità dovremo aspettarci dal vivo?
Dal vivo presentiamo gran parte del disco nuovo ed una selezione dai dischi precedenti. Ovviamente il tutto accompagnato da visual creati ad hoc. Certe sere sembra di stare al cinema a vedere filmati brutti di youtube con la colonna sonora fatta da noi dal vivo.
La cosa secondo me bella è che, a parte la sezione dedicata alla Uno Bianca, siamo riusciti a creare una scaletta omogenea nonostante i pezzi siano presi da dischi diversi. Quando l’abbiamo fatta per la prima volta dal vivo ho proprio avuto la netta sensazione di essere riuscito finalmente a creare con questo disco un comune denominatore fra tutti i miei lavori.
Inoltre, cosa non da poco, ora siamo in due sul palco, quindi gli anni del karaoke sono finiti!
 
Intervista a cura di Egle Taccia
 
 
 
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