Dal dietro le quinte al palcoscenico, da produttore, fonico ed operatore musicale nel cinema ad artista con all’attivo due dischi. Lui è Tommaso Caronna e i suoi due dischi sono “Sono solo utopie” più vicino al mondo delle colonne sonore e l’ultimo “Bozze di un sincero presente”. Nell’ultimo lavoro Tommaso mette fuori la sua anima da cantautore, atipica perchè ha come base la sperimentazione elettronica.
Ciao! Sei un tecnico del suono e un produttore che ha pubblicato un disco. Da dietro le quinte al palcoscenico, come mai questo cambiamento di prospettiva?
Non è un mutamento così drastico. Alla fine collaborare a dischi di altri ti fa vivere la musica dall’interno e scoprire realtà di genere vicine o distanti, da cui imparare tantissimo anche a livello di costruzione del pezzo e musicalità. Non è che un fonico costruisce la produzione e basta. Un fonico ascolta prima di tutto. Ci sono pezzi prodotti benissimo, ma con arrangiamenti inconsistenti, e questo non darà mai la svolta al brano. L’armonia di songwriting e tecnica di mixaggio, è essenziale per valorizzare un prodotto. Non sto dicendo che un fonico debba saper scrivere canzoni, ma deve saper valutare quando un brano funziona oppure no, così da metterlo a fuoco. Essere protagonista di un progetto musicale proprio, conoscendone già i risvolti tecnici, non è altro che la fase naturale successiva. Il salto a un album di canzoni mie ho voluto farlo con una direzione consapevole e molto caratterizzata.
Lavori anche per il cinema, come il tuo background culturale e musicale si ritrova nella tua musica?
Nel cinema ti focalizzi maggiormente sulla scena da sonorizzare o per cui trovare un’ambientazione coerente col disegno dei personaggi e la storia per immagini. Quando fai un disco, parti sempre da un’immagine come tratto d’unione per scrivere canzoni volte a raccontare un momento o uno stato d’animo. A differenza di un film non c’è una trama definita, ma un libero viaggio di suoni e parole frutto di influenze ed esperienze.
Hai pubblicato ad oggi due album: uno nel 2012 “Sono solo utopie”, lavoro con tracce strumentali dalle anime ritmiche diverse, e da poco “Bozze di un sincero presente”. Sono due lavori completamente diversi, come sei passato dalla prima fase alla seconda?
“Sono solo utopie” era un disco figlio di un’immaginario più vicino alle colonne sonore e all’elettronica sperimentale. “Bozze di un sincero presente” è un tentativo di dare all’elettronica la profondità cantautoriale di un disco suonato senza usare nemmeno uno strumento vero. Il legame con l’album del 2012 si coglie nella traccia “Quello che mi manca”, non a caso l’unico brano strumentale presente. Il resto, è nato dalla ferma intenzione di voler scrivere canzoni, senza lasciare per strada la mia ricerca sonora.
Ciao! Sei un tecnico del suono e un produttore che ha pubblicato un disco. Da dietro le quinte al palcoscenico, come mai questo cambiamento di prospettiva?
Non è un mutamento così drastico. Alla fine collaborare a dischi di altri ti fa vivere la musica dall’interno e scoprire realtà di genere vicine o distanti, da cui imparare tantissimo anche a livello di costruzione del pezzo e musicalità. Non è che un fonico costruisce la produzione e basta. Un fonico ascolta prima di tutto. Ci sono pezzi prodotti benissimo, ma con arrangiamenti inconsistenti, e questo non darà mai la svolta al brano. L’armonia di songwriting e tecnica di mixaggio, è essenziale per valorizzare un prodotto. Non sto dicendo che un fonico debba saper scrivere canzoni, ma deve saper valutare quando un brano funziona oppure no, così da metterlo a fuoco. Essere protagonista di un progetto musicale proprio, conoscendone già i risvolti tecnici, non è altro che la fase naturale successiva. Il salto a un album di canzoni mie ho voluto farlo con una direzione consapevole e molto caratterizzata.
Lavori anche per il cinema, come il tuo background culturale e musicale si ritrova nella tua musica?
Nel cinema ti focalizzi maggiormente sulla scena da sonorizzare o per cui trovare un’ambientazione coerente col disegno dei personaggi e la storia per immagini. Quando fai un disco, parti sempre da un’immagine come tratto d’unione per scrivere canzoni volte a raccontare un momento o uno stato d’animo. A differenza di un film non c’è una trama definita, ma un libero viaggio di suoni e parole frutto di influenze ed esperienze.
Hai pubblicato ad oggi due album: uno nel 2012 “Sono solo utopie”, lavoro con tracce strumentali dalle anime ritmiche diverse, e da poco “Bozze di un sincero presente”. Sono due lavori completamente diversi, come sei passato dalla prima fase alla seconda?
“Sono solo utopie” era un disco figlio di un’immaginario più vicino alle colonne sonore e all’elettronica sperimentale. “Bozze di un sincero presente” è un tentativo di dare all’elettronica la profondità cantautoriale di un disco suonato senza usare nemmeno uno strumento vero. Il legame con l’album del 2012 si coglie nella traccia “Quello che mi manca”, non a caso l’unico brano strumentale presente. Il resto, è nato dalla ferma intenzione di voler scrivere canzoni, senza lasciare per strada la mia ricerca sonora.
Ascoltando “Bozze di un sincero presente” non riesco ad identificarlo nettamente in un genere, tu cosa ne pensi musicalmente del tuo lavoro?
Ho diversi interessi ma non mi sento ascrivibile a nessun genere in particolare. Mi piace l’idea di trasportare certi suoni in situazioni inaspettate. Ad esempio, da un preset del Korg M1 che nessuno usa, ti aspetti al massimo di tirare fuori il classico drone di sottofondo per un film horror. Io con quei pad e quelle stratificazioni non volevo creare solo atmosfera, ma renderli prominenti rispetto a tutto il resto e ricreare un contesto diverso di musica e parole dove di solito una band di appoggio è indispensabile.
Che progetti hai per l’estate?
Continuerò a cercare di promuovere questo disco per Music In Trip e ad affrontare nuove produzioni per Genesi 57. Vorrei continuare a scrivere in italiano e provare anche con l’inglese.
Vuoi aggiungere qualcosa alla nostra chiacchierata?
Il testo per me è molto importante e gode di una cura particolare. È il mio primo album di canzoni e per questo ci tenevo molto a chiudere quest’intevista con una nota sulle parole. Non ho aggiunto complessità dove non era necessaria, ma la scrittura per me è un processo introspettivo, a volte doloroso, che aiuta a buttar fuori pensieri e ricordi sommersi, non un atto fine a se stesso per riempire i vuoti musicali.
Federica Monello
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