In occasione della loro seconda uscita discografica, abbiamo intervistato i Norman, band trevigiana e creatura di Massimiliano Bredariol. La grandine! è infatti uscito lo scorso aprile, ed è uno spaccato molto interessante della musica italiana in italiano, che miscela strutture a volte complesse, psichedelia e altre sonorità sofisticate.
La grandine! è la vostra seconda uscita discografica, a distanza di sette anni dall’esordio La rivolta dei bambini blu. Come sono passati questi anni fra i due album, artisticamente e musicalmente parlando?
Ne sono trascorsi ben sette. Io (Massimiliano) ho sempre suonato con mille gruppi, quindi nel frattempo ho fatto due dischi con i Valentina Dorme e uno con Artemoltobuffa. Cambiata la formazione, sono arrivati Lorenzo Tomio (Ensemble L’Arsenale) e Igor De Paoli (già batterista dei Non Voglio che Clara). A un certo punto ho accumulato un po’ di canzoni e ci ho lavorato con Lorenzo, poi con la band. Nel 2012 siamo rientrati in studio e senza nessuna fretta abbiamo assemblato il disco sotto lo sguardo vigile di Davide Dall’Acqua, produttore dell’album. Del resto il primo disco era passato abbastanza inosservato quindi non avevamo nessun tipo di pressione.
In La grandine! sembrano coesistere molti elementi, in particolare si avverte il tentativo di conciliare certo cantautorato italiano con il rock alternativo di respiro internazionale. Quali ritenete essere le principali influenze del disco?
Durante le registrazioni dell’album ascoltavamo compulsivamente le Smile Sessions dei Beach Boys. Non so però se quel virus si sia propagato al disco. Credo che sicuramente si senta un grande amore per quella filiera di rock psichedelico che parte dai Pink Floyd e arriva a Radiohead, Flaming Lips e Sparklehorse. Poi ci sono amori più recenti come Scott Walker, musicista sul quale ho sviluppato una vera e propria ossessione. Quanto all’Italia non saprei. Non siamo grandi consumatori di cantautorato, per quanto mi riguarda l’unica eccezione è Paolo Conte del quale so salmodiare l’intera discografia.
Nonostante i vostri suoni e gli arrangiamenti siano molto curati e assolutamente competitivi per l’attuale scenario musicale internazionale, i Norman scrivono i loro testi in italiano. È una scelta che ha delle motivazioni precise? Da quali esigenze proviene?
Non saprei, credo che scrivendo in inglese finiremmo per raccontare qualcosa che non viviamo, con delle parole che non usiamo. Mi fa sempre un po’ sorridere sentire una band di Bagno a Ripoli cantare di subways e highways. Credo che non interessi a nessuno. Con questo non voglio dire che chi scrive in inglese sia meno autentico di chi lo fa nella propria lingua. Solo che per essere credibile devi essere veramente bravo. I Toys Orchestra per dire ci riescono perfettamente, così come i Giardini di Mirò o (un tempo) gli Yuppie Flu. Se nella fattispecie immagino noi…boh! Mi viene un po’ da ridere. Ma chissà, magari una volta ci proviamo e scopriamo che siamo bravissimi.
Vi chiedo un’ulteriore approfondimento sui testi: quali sono i temi trattati dalle parole di La Grandine! ?
Non è nato come un concept, ma alla fine lo è diventato. La grandine! è l’imprevisto. Quello che non hai messo in conto. Quello che fa saltare in aria la tua vita quando sei sicuro di avere tutto sotto controllo. Il grosso delle canzoni sono state scritte in un periodo in cui mi succedeva questo. Senza volerlo è diventato il filo conduttore. Se fossimo stati furbi avremmo potuto dargli un titolo più generazionale/modaiolo tipo: “La crisi dei trent’anni”. Amen.
Dal punto di vista della musica live, come state organizzando la promozione di La grandine! ? Qual è la dimensione di questo album dal vivo?
Siamo in 6 sul palco e cerchiamo di replicare ove possibile il suono stratificato del disco. Ci vogliamo divertire e abbiamo canzoni che ci permettono di farlo. Siamo appena partiti, non abbiamo un booking, andiamo dove ci chiamano. Cerchiamo di costruire uno spettacolo che sia divertente e bello da sentire. Poi si vedrà.
Cosa c’è nel futuro dei Norman?
C’è il presente. C’è questo disco di cui andiamo fieri, ed è adesso. Se verrà amato anche dagli altri magari troveremo la voglia di dargli un altro fratellino. Oppure ci fermeremo qui. C’è talmente tanta musica in giro che potrà tranquillamente succedere che passi inosservato. Ma c’è. Ci sarà anche fra cinquant’anni e siamo sicuri che sarà invecchiato benissimo. Questa è l’unica cosa che conta veramente.
Articolo di Giuseppe Tancredi
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