Lacework è il terzo album in studio della bolognese Suz, artista che ha messo la sua voce a disposizione di una ricerca raffinata sempre caratterizzata dall’elettronica. Il disco, prodotto insieme a Ezra Capogna e uscito per IRMA Records, rappresenta un’eccellenza da molti punti di vista e si discosta da molti cliché puntando sulla qualità e sulla sostanza, elementi sostenuti inoltre da impeccabili arrangiamenti. Abbiamo fatto qualche domanda a Suz su alcuni aspetti del disco e sui suoi progetti paralleli.
È uscito qualche mese fa Lacework, il tuo terzo album in studio che conferma, insieme ai tuoi primi due dischi, una tendenza verso alcune sonorità che messe insieme vengono comunemente definite trip-hop. Quali pensi, però, siano gli elementi di novità e di evoluzione di Lacework rispetto ai tuoi lavori precedenti?
Penso che l’elemento di novità sia la volontà di rendere Lacework un lavoro il più possibile omogeneo per quanto riguarda sonorità e scelte stilistiche, il tentativo di Ezra e mio di raggiungere una forma più definita e chiara.
I pezzi di Lacework scorrono uno dopo l’altro agevolmente grazie ad una rara omogeneità di stile e di suono. Il tratto distintivo però è certamente la tua voce, tanto particolare e intrigante quanto misurata ed equilibrata. Quali sono le tue principali influenze, vocalmente parlando?
Ti ringrazio, le mie influenze sono le più disparate, partendo da Sarah Vaughan e Mama Cass per arrivare a Roisin Murphy o Nicolette, passando per Neneh Cherry e Siouxsie e, perché no, tutto il synth-pop e il goth-rock di cui ho fatto il pieno negli anni Ottanta.
Altro tratto distintivo del tuo album è la presenza imponente del pianoforte, che spicca fra le stratificazioni elettroniche e che spesso svolge un ruolo di sostegno rispetto tutto il resto. Quali criteri hai seguito per miscelare i suoni acustici ed elettronici, in fase di composizione e arrangiamento?
La scrittura delle canzoni è partita sempre al pianoforte, dunque il piano era la cellula primaria su cui, poi, abbiamo steso tutto il resto. L’intenzione era di ‘liberarcene’ in sede di produzione ma poi ci eravamo talmente affezionati al suo suono in alcuni brani che in quelli abbiamo deciso di tenerlo. Nessun criterio dunque, solo una questione di pancia.
Nella fattispecie di Lacework, qual è il rapporto tra testi e musica?
Nella mia piccola esperienza mi sono accorta che, nel caso in cui la musica nasca prima dei testi (è il caso dei brani di questo album), è lo stato d’animo che quest’ultima evoca a richiamare in modo del tutto naturale le parole che andranno ad intrecciarsi con essa e dar vita per l’appunto a un ‘Lacework’, un intreccio fra musica e parole.
Ho letto che assieme ad alcuni musicisti jazz della scena bolognese hai messo su il Suz Jazz Quintet. Puoi raccontarci qualcosa di questo progetto?
Il Suz Jazz Quintet è nato verso la fine del 2013 grazie all’incontro con Valerio Pontrandolfo, sax tenore originario di Potenza, già al fianco di giganti come Steve Grossman o Harold Mabern (insieme a quest’ultimo ha appena pubblicato il suo disco di esordio). Con Valerio ho selezionato alcuni standard da riproporre live alternati ad alcuni brani dei miei precedenti album e coinvolto nel progetto altri musicisti di fama nazionale come il pianista Nico Menci, il violoncellista e contrabbassista Bruno Briscik e il batterista Marco Frattini ed ora tutti e cinque ci apprestiamo ad incidere un primo disco.
Lacework si distingue senz’altro per la qualità della composizione, la particolarità di alcune soluzioni armoniche, i ritmi complessi e gli arrangiamenti raffinati. In Italia si tende forse un po’ troppo a cavalcare onde già collaudate, alla ricerca di un successo facile, sacrificando la sostanza e la qualità della musica stessa. La novità è che tutto ciò oggi accade all’interno di quel mercato che si (auto)definisce indipendente. Qual è la tua idea al riguardo? Avverti un gap tra il tuo modo di fare musica e quello che ti circonda, nello scenario musicale in cui ti muovi?
Devo ahimè confessarti che da qualche tempo a questa parte ascolto poco la nuova musica italiana e sinceramente non ho idea di come si muova il mercato. Non per snobismo ma ultimamente la mia attenzione è rivolta soprattutto a produzioni straniere. Personalmente, come già detto altrove, non mi sono mai messa a tavolino a rincorrere il suono del momento.
A cura di Giuseppe Tancredi
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