Martedì 16 aprile 2016, lo scenario è ancora una volta quello che i miei affezionatissimi lettori hanno ormai imparato a riconoscere, ovvero il Locomotiv Club di Bologna: stavolta sul palco, a portare la loro anarchia ancestrale (sic) e musicale in questa calda sera primaverile, sono previsti i misteriosi Enro Winston, Rob Winston e Linnon Winston. Sì, The Winstons, insomma, sicuramente in questo duemilasedici ne avrete già sentito parlare (e se non avete ascoltato il loro sorprendente album d’esordio omonimo fate mea culpa, lasciate aperta la scheda con questo report e correte a recuperarlo. Non ho fretta, davvero). Dietro questo moniker, che strizza ironicamente l’occhio all’industria del tabacco, si celano nientepopodimeno che dei volti noti del panorama musicale italiano quali Roberto Dell’Era, Enrico Gabrielli e Lino Gitto. Obiettivo dichiarato di questo power trio (basso, batteria, tastiere e voci) è riportare in vita sonorità quasi anacronistiche (ma non per questo meno potenti od originali), nella loro fusione psico-jazz-garage, sotto la spessa e salda egida del progressive rock inglese e dei suoi padrini Soft Machine e Pink Floyd.
Ad aprire la serata troviamo il curioso Kawamura Gun, il cui nome (d’arte) ne tradisce le origini: armato soltanto di una chitarra, e incorniciato fieramente dai suoi lunghi capelli lisci e neri (e che me lo fanno automaticamente registrare come il figlioccio di Keiji Haino, almeno per quanto riguarda il look). Fino alle 23 l’artista giapponese dal domicilio romano, già chitarrista e cantante dei capitolini Blind Birds, interpreta i brani del suo primo disco Brutiful, non senza qualche piccola sbavatura che viene, però, subito assorbita dall’originalità della proposta. Le canzoni si snodano ordinatamente quasi come fossero la colonna sonora della storia proiettata dietro di lui, tavole  che rappresentano una giornata di alcuni simpatici (o inquietanti, dipende dal punto di vista) ometti, che se avete fatto bene i compiti di cui sopra, non dovreste avere problemi a riconoscere. Sì, sono proprio loro, gli stessi Nudisti Timidi protagonisti dell’artwork degli Winstons.
Quindi ecco arrivare sullo stage Roberto Dell’Era, Enrico Gabrielli e Lino Gitto. Non appena prendono posto dietro i rispettivi strumenti (divisione quanto mai effimera, visto che quasi ad ogni brano i tre musicisti daranno sfoggio al loro polistrumentismo) le lancette del tempo si spostano improvvisamente indietro di qualche decennio. Adesso, senza quasi rendermene conto, mi trovo in un’Inghilterra che non esiste più, prima dell’avvento della Iron Lady Margaret Thatcher e di Lady D., prima della guerra delle Falkland/Malvinas e degli hooligans. Il britpop ha da venire, le atmosfere allucinate di Canterbury e Londra si fondono sul palco del Locomotiv, con cinquant’anni di ritardo, ed è subito psichedelia. L’illusione perdura per tutta la durata del concerto, davanti a me, a pochissimi centimetri di distanza, i musicisti mettono da parte la loro identità di tutti i giorni per far posto a Enro, Rob e Linnon Winston, artisti di un tempo andato, scongelati appena in tempo per tenere ancora alto il vessillo del prog con le loro Nicotine Freak, Diprotodon, She’s My Face e tutte le altre, fino al glorioso crescendo rossiniano finale, vero e proprio sfogo artistico che conclude l’esperienza, almeno per ora, del trio. È l’ultimo concerto degli Winstons, la fine di un ciclo, nelle parole dello stesso Gabrielli, e sono felice di aver fatto parte, da spettatore, di questo splendido viaggio nel suono a tre dimensioni. Quattro, se si considera anche il tempo.
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