Abbiamo intervistato Raffaele Vasquez per farci raccontare come nasce Me, il suo ultimo album uscito a settembre 2015. Un album sicuramente pregno di significato e con un rimando costante ad una figura femminile che è in qualche modo sovversiva e non più “sesso debole”.
Ciao Raffaele, a settembre è uscito il tuo nuovo album “ME”. Come nasce il progetto?
Ciao, Giulio. Già mentre terminavo il mio album “Senza bastoni tra le ali” c’era nell’aria qualche brano che sarebbe entrato a far parte di questo nuovo lavoro. “Me” è una riflessione più severa e meno ironica della mia espressione musicale e letteraria. È un disco di denuncia contro la superficialità che spesso prende il sopravvento a discapito della verità. Con questo non voglio dire di conoscere “La Verità”, ma è proprio questo il punto. È un disco che cerca di stimolare il pensiero. Ciò che non trovo in me lo cerco in qualcuno al di fuori. Spesso in una donna ipotetica che mi potrebbe affiancare.
La figura femminile che racconti tramite queste tue canzoni da dove viene?
È una donna che smonta le sue convinzioni di essere donna, quelle apparenti, e che riconosce in sè un’ anima al di fuori del suo genere. La stessa cosa faccio con la mia persona. Guardandomi allo specchio, cercando la parte femminile che si nasconde dentro l’essere umano, e non dentro un genere predefinito. Quella che immagino è una donna con la barba, per non dire un’altra cosa…
È interessante anche il titolo dell’album, cosa mi dici in merito?
Può sembrare un titolo decisamente autoreferenziale ma non lo è minimamente. Ho voluto una copertina che mi ritraesse ma in modo caricaturale. Io esprimo un concetto di libertà. Non è detto che questa libertà mi appartenga, ma cerco di esprimerla. È il mio desiderio di essere (tutti) liberi dai clichè che ci obbligano a vivere da addormentati. Io ho cercato una buona suoneria per dare la sveglia. Poi destarsi sta molto in chi ascolta.
La collaborazione con Mauro Tre ti ha aiutato ad esprimerti vocalmente lasciando leggermente da parte la parte strumentale. Come è stata questa esperienza?
Nella fase embrionale del progetto avevo scritto i brani per piano e voce. Le somiglianze vocali con altri interpreti che già sono presenti nella realtà musicale italiana erano troppo evidenti. I miei punti di riferimento tra i cantautori erano eccessivamente chiari e quasi sembrava che li volessi imitare. La collaborazione con Mauro vanta il fatto di avermi fatto perdere l’abitudine a quel tipo di vocalità. Arricchendo i brani di strumenti ed arrangiamenti, è riuscito a far venir fuori una parte di me che avevo tenuto da parte. E non finisce mai di stupirmi. Sperimentiamo continuamente e adoro mettermi in discussione. Ne sentirete delle nuove e su delle linee musicali che non vi aspettate. Sto lavorando su un altro progetto. Sarà molto rock.
Il legame con il cantautorato italiano è evidente, e bellissima è la cover della canzone di Piero Ciampi “Hanno arrestato anche l’inverno”. Cosa ti lega a questo artista?
Ciampi ha sancito il punto di inizio del mio approccio alla scrittura. Mi imbarazza piacevolmente la semplicità dell’inizio delle sue canzoni. Va dritto al punto. Spesso comincia con un sostantivo. Lo adoro per questo. È poesia struggente e amara. Ho deciso di approcciarmi a questo brano fin da subito. Non è così conosciuto e mi piaceva l’idea di farlo conoscere. Spero di averlo fatto con l’umiltà giusta che serve quando si “coverizza” un artista di questo calibro.
So inoltre che le collaborazioni sono state molteplici. Come sono nate e quali sono stati gli intenti artistici di tutti?
Renderlo quanto più vintage possibile. Ci sono strumenti antichi suonati da mani “sapienti”. Ma ci sono anche persone più giovani di me nelle quali ho creduto. I cori sono di Elodie Di Patrizi, talento di “Amici” di Maria De Filippi. Al basso c’è quasi sempre Mauro, in un brano l’ho suonato io, ma c’è anche un grandissimo Luca Alemanno che si è prestato a suonarlo in “Signuria”. Sentirete parlare di lui se già non lo avete ascoltato insieme a Fabrizio Bosso. E poi ci sono le chitarre energiche di Luigi Bruno, era fondamentale il suo tocco rock in alcuni brani. C’è Alessio Borgia alla batteria che dà spazio all’ospite Paolo Provenzano che ha suonato nella cover di Ciampi, c’è Francesco Del Prete al violino, c’è tanta bella gente. E poi ci sono io, ma è poca cosa. Volevamo fare una bella opera, un lavoro di cuore.
Intervista a cura di Giulio Paghi