Si può palare di un’elettronica dai temi impegnati? Sicuramente la cosa suona curiosa, ma c’è chi trova nel comporre questo tipo di musica anche questa aspirazione. Stiamo parlando di Deckard, nome tratto dal protagonista di Blade Runner e che tradisce l’interesse dell’artista per la cultura Cyberpunk. Proprio da questo interesse prende le mosse il suo concept album “Cosmopolis”.
Ecco a voi l’interessantissima chiacchierata con Beppe “Deckard” Massara.
Domanda di rito: perché ti chiami Deckard?
Deckard è il protagonista di Blade Runner, un film cult tratto dal romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick , precursore della letteratura Cyberpunk di cui io sono un appassionato. Le tematiche socio-etico-politiche sviscerate da questo filone letterario negli anni ’70 e ’80 in chiave futurista, prevenivano in un delirio di metagnomia le attuali implicazioni tra ingegneria biomedica, bionica e cibernetica proiettandole in uno scenario post-tecnologico in cui individui e/o androidi rimasti al margine, si muovono in un sottobosco rivoluzionario nichilista che rigetta e contrasta il complotto neofascista delle multinazionali e dell’iper potere finanziario. Il contrabbando di parti biomeccaniche dando super poteri ai rivoluzionari, ai criminali, ai reietti che vivono nei ghetti fatiscenti all’ombra dei cristalli della over-city, rende la loro minaccia sempre più potente e pericolosa. Il potere si serve di agenti segreti androidi per sbarazzarsi dei pruriti… Bene, oggi non siamo ancora arrivati a quel punto, ma io inizio a sentire la puzza di tutto ciò! Voi? Credo comunque che la mia musica sia il sottofondo ideale per queste suggestioni “futuriste”, o almeno io mi sento ispirato da tutto ciò mentre compongo.
 
Presuppongo che l’idea di Global Electronic nasca da un tuo interesse per i diversi generi musicali. Parlaci di questa idea e degli artisti che influenzano la tua musica.
Sì esatto, è così. Comunque credo che già il sound del Big Beat, i Chemical Brothers, i Future Sound Of London, gli Underworld, ma prima di tutti i Kraftwerk ed altre bands della old-school EBM abbiano già abbondantemente esplorato e sperimentato in tal senso, fondendo tutti i generi “alternative” in un unico e nuovo impasto, ma soprattutto interpretando i vari mondi sonori solo con l’ausilio dei campionatori e degli strumenti elettronici. Per me Global Electronic significa poter suonare qualsiasi genere simultaneamente usando solo l’elettronica. Le mie influenze vanno da Bach a Muddy Waters passando per Stooges ed Aphex Twin, considerando che ho iniziato ad ascoltare musica coi dischi new wave di mio fratello per poi diventare un metallaro incallito fino a produrre ora una musica che è il sunto di tutto ciò, per cui è Global.
 
“Cosmopolis”, il tuo terzo album in uscita a breve, è un concept album. Come possono dei brani strumentali parlarci di “speculazioni finanziarie e distorsioni capitalistiche che sovvertono gli equilibri democratici e politici”?
Al romanzo di Don De Lillo ed alla sua trasposizione cinematografica magistralmente eseguita da Cronenberg, mancava una degna colonna sonora, per cui ho deciso di mettermi all’opera… ovviamente scherzo, non oserei minimamente affiancarmi a tali maestri della letteratura e del cinema, ma la mia Cosmopolis si è  generata da questi due masterpieces. Poi… io credo che l’arte debba sempre essere impegnata ed ultimamente riflettevo sul fatto che i nuovi filoni legati all’elettronica invece siano scevri di contenuti, puntando solo al sensazionalismo alla moda, just entertainment… Estetica, anche il suono può essere solo estetica creando sinestesia e coinvolgimento dei sensi, benessere ed empatia. Fin qui tutto bene. Ma io ho la necessità di comunicare qualcosa che non posso dire attraverso le liriche che non esistono nei miei brani, quindi accompagno i miei dischi a delle riflessioni socio-etico-politiche, questo mi consente una maggiore ispirazione, una più profonda immersione nel concept dell’album e soprattutto mi apre dei canali di comunicazione che non siano strettamente legati alla mia musica. Di fatti tu mi hai posto la domanda specifica generando un inizio di confronto, i lettori probabilmente rifletteranno sulle tematiche e si faranno un’idea loro. Quando ciò non accade si crea la “communication breakdown” come dicevano i Led Zeppelin, ed oggi il fenomeno è troppo frequente, paradossalmente una società immersa nella mania della  comunicazione tout court perde il focus sui concetti fondamentali della nostra sopravvivenza, quali ambiente, lavoro, diritti, concentrandosi sul terminale stesso e non sul contenuto. Il successo dei social ad esempio è dovuto al fatto che essi rispondono prevalentemente ad un bisogno che i greci avevano già identificato qualche millennio fa nel mito di Narciso, ma lui non fece una bella fine. La comunicazione per me non può essere solo estetica, io rispondo al bisogno di comunicare, non solo la mia immagine , ma anche suoni ammantati di concetti.
 
L’Italia è un terreno fertile per la musica elettronica?
Sicuramente non ne è la patria, ma alcune bellissime realtà come il RoBot Festival e lo Spring Attitude, stanno creando una cultura più consapevole di ciò che è “musica elettronica”. Realtà come queste gestite da curatori preparatissimi ci propongono un’idea più articolata del dance floor. A tal proposito vi segnalerei il Cavo Fest, da me organizzato a Trani, ma per questo ci vorrebbe un’altra intervista…LOL
In Italia ci sono dei talenti pazzeschi, anche nella musica elettronica.
 
Lo skyline di Londra fa da sfondo al disco, perché?
Il titolo dell’album è Cosmopolis e Londra, tra le città europee che conosco, è quella che più rappresenta l’idea cosmopolita. Parallelamente è la patria di quella finanza che io critico, ciò non toglie che sia una delle città più affascinanti del mondo, forse proprio per le sue contraddizioni. È una città stato, che ha funzionato come un setaccio del mondo trattenendo scorie e preziosi, lì trovi tutto, tesi ed antitesi dei colori, delle religioni, degli odori, ma tutti cercano soldi. In Holland Street dietro la Tate Modern, c’è una statua “Monument To The Unknown Artist” con una targa dove c’è incisa la scritta: non plaudite modo pecuniam jacite che potrebbe essere interpretato come non applaudite, ma lasciatemi dei soldi, ovviamente la questione è più complessa, ironica, satirica ed anche molto curiosa… La città che un tempo era la perfetta location in cui ambientare un poliziesco gotico, oggi è uno scenario perfetto per un romanzo cyberpunk, il suo skyline è stato stravolto rispetto a solo venti anni fa, i grattacieli e le torri della city sovrastano i monumenti vittoriani, le chiese gotiche, le fabbriche dismesse della rivoluzione industriale e le tradizionali houses di red bricks in un susseguirsi di livelli come in un labirinto di Escher, flussi umani cercano una via per il cielo, di raggiungere le vette lì dove si controlla il flusso finanziario, molti si perdono, pochi comanderanno.
Un grande saluto alla Redazione di Urbanweek ed ai suoi lettori, grazie per essere attenti anche alle subculture. Beppe “Deckard” Massara.
 
Federica Monello
 
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