Partito dalla Calabria, Emanuele Aceto, in arte Eman, sta riscuotendo grande successo grazie ad Amen, il suo disco d’esordio. Il suo repertorio spazia tra sonorità diverse ed è per questo difficilmente etichettabile: si colloca tra pop e rap avendo come punto di riferimento il cantautorato, esplora mondi musicali spesso opposti tra loro come il raggae e il dark passando per l’elettro-rock, amalgamando perfettamente il tutto con la musica d’autore contemporanea e d’ispirazione internazionale. Se volete saperne di più non perdetevi questa intervista!
 
Amen, il tuo album d’esordio, ha raggiunto, nella settimana del post Sanremo, la 37esima posizione nella classifica Fimi (classifica degli album più venduti d’Italia), e , per un emergente, è decisamente un risultato importante: quali erano le tue aspettative iniziali?
Non mi aspettavo un risultato simile; io e il mio team ci auguravamo di entrare nella classifica Fimi, ma non a certe altezze. Penso sia un grande risultato se visto come un segno di stima innegabile da parte della gente della mia terra, la Calabria, che mi ha spinto tantissimo fino a coinvolgere ogni angolo d’Italia. 
La tua musica spazia tra sonorità diverse ed è per questo difficilmente etichettabile: tu come la definiresti?
Io non la definisco… Sono sempre stato onnivoro negli ascolti e il risultato penso sia evidente; fortuna ha voluto che anche le persone con cui lavoro si rispecchiassero nella mia idea di musica: puoi partire da un concetto di base e svilupparlo come vuoi, nel 2016 avere un’ etichetta di definizione credo sia una forzatura. Mi definisco un comunicatore, mi interessa tremendamente il messaggio; qualcuno mi ha definito un cantautore moderno ed a me va bene anche se resto timoroso a definirmi tale, per una sorta di senso di inadeguatezza nel condividere quell’appellativo con nomi sacri. Per quanto riguarda la musica, io lavoro sulle melodie ed il testo, Skg pensa a tutto il resto: pensa ad un quadro,  tu useresti sempre lo stesso colore per descrivere tutto? Ecco, la mia musica è più o meno questo.
Qual è l’idea da cui è nato Amen?
Quando firmi con una major tendi a fare un disco che ti presenti ad un pubblico più vasto, prendi il meglio di ciò che hai prodotto e fai una sorta di “Best of” (in una scala ovviamente ridotta); nel caso di Amen eravamo già in scrittura di un disco, quindi abbiamo aggiunto dei brani nuovi a quelli che ci sembravano più idonei a dare vita ad un lavoro omogeneo, un lavoro che avesse un senso compiuto e non solo una raccolta di canzoni.
Raccontaci qualcosa di te, del tuo ingresso nel meraviglioso mondo della musica!
Come ti ho detto, io sono un comunicatore, a me serviva comunicare. Da piccolo ero molto balbuziente e le parole scritte erano fluide, scorrevoli; lessi tanto e scrissi altrettanto, scrivere era la mia ergoterapia. E poi la musica non so se non c’è mai stata, me la ricordo da quando sono in fasce; sentivo melodie e ci canticchiavo sotto parole mie e, ovviamente, la balbuzie spariva. Formai la mia prima band a 15 anni e così via in un susseguirsi di altre band; Eman è nato nei primi anni del 2000: nella mia città si ascoltava parecchia musica reggae e mi venne semplice  legare quelle rime serrate, quelle assonanze che rimbalzano, su un tappeto melodico. Da lì ho creato il mio suono ed il mio stile; ho iniziato negli “Open Mic” nelle dancehall e lì ho incontrato il favore del pubblico. Poi, con la fondazione di un Soundsystem “PennyWise” e con il mio socio Andrea aka Mandy, organizzavamo eventi e passavamo dischi nelle dancehall tra Catanzaro, la costa jonica e Cosenza, dove entrambi studiavamo; in quelle serate, cantavo i miei testi su qualsiasi base strumentale ci fosse sul lato b dei nostri 45 giri, come gli Mc’s jamaicani che hanno affascinato Kool Herc. Poi fu il tempo di “Kuanshot” un collettivo di cantanti e produttori tra cui Tano e Skg. In seguito capì che dovevo trascendere gli stili perché ne sentivo il bisogno e uscì definitivamente il suono, grazie anche alla versatilità e al genio di Skg.  Ho fatto centinaia di live, ho visto il mio pubblico passare da 3 a 20 a 100 fino a 1000 in un teatro o migliaia in piazza, fino ad un contratto con la Sony; sempre con quell’approccio di inadeguatezza e la convinzione di essere un fortunato. Ecco, ti ho detto tutto, forse anche troppo.
Che idea ti sei fatto dell’attuale panorama musicale italiano?
Non vedo un panorama…vedo una sala d’aspetto di un reparto di geriatria, e lì vedo seduti gli artisti “giovani” in attesa di diventare “vecchi” come i degenti e i primari del reparto; ma passerà, il calo è fisiologico come è fisiologica la ripresa: il rap ha provato a tirare la carretta prendendo senza chiederlo il posto dei cantautori o della musica d’autore, ma non si può chiedere ad un genere che ha la fortuna di “spingersi da solo” e di autoalimentarsi di salvare la musica italiana; gli addetti ai lavori e i direttori artistici dovrebbero fare (meglio) il loro lavoro: tornare a “fare la strada” andare per live club, ai festival indipendenti , a scoprire i talenti di cui è piena la penisola, ed evitare i soliti talent show.
Porterai in tour le tue canzoni?
Chiaramente il tour sarà un momento per far conoscere le mie canzoni in giro per l’Italia. Partirà dal teatro Politeama di Catanzaro dove si è registrato un sold out in meno di 24 ore. Poi sarò anche a Milano (31 marzo), Bologna (2 aprile) e Roma (7 aprile) e altre date stanno per essere definite. Inoltre, parallelamente, in comune accordo con Sony, abbiamo deciso di affrontare un tour nelle radio universitarie, una bellissima iniziativa, utile a spingere un concetto di musica “dal basso”, come piace a noi. 
 
a cura di Laura De Angelis
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