Zipper Down è il quarto album in studio degli Eagles of Death Metal, quello che la band stava portando in giro per l’Europa poco dopo la sua uscita, nell’ottobre 2015, quando gli spari esplosi durante gli attentati terroristici di Parigi interruppero il loro concerto lo scorso 13 novembre. Per gli EoDM c’è, adesso, una diffusa voglia di serenità e di tornare a pensare a ciò che veramente conta: la musica. Abbiamo ascoltato Zipper Down quando è uscito, ma ci siamo presi del tempo prima di parlarne così da potere restituire all’album la dignità e le attenzioni rubate dai tragici fatti di Parigi.
La prima uscita discografica del duo formato da Josh Homme e Jesse Hughes risale al 2004, quando diedero alle stampe Peace, Love, Death Metal, album che rivelò l’essenza burlona e l’aspetto grottesco che la band ha voluto assumere, si direbbe con ottimi risultati, fin dalla formazione. A dispetto del nome, non c’è niente di death metal nella musica degli EoDM: l’atteggiamento da rockers falliti e fuori tempo massimo (in netto contrasto con il ruolo centrale di Josh Homme nelle evoluzioni del rock negli ‘90), la passione per boa e donnine succinte, formato adesivo per motocicletta, completano l’immagine irresistibile che gli Eagles of Death Metal hanno creato un po’ per gioco, un po’ sul serio.
Zipper Down presenta lo stesso sound sporco che contraddistingue da sempre questa band con le chitarre piene di fuzz e la passione per riff tanto potenti da sostenere interi pezzi da soli. L’immediatezza della musica rimane il punto di forza degli EoDM, grazie anche al drumming gradevolmente scarno di un Josh Homme che tutti noi siamo abituati a vedere in piedi, con chitarra e microfono davanti. Il disco, poste le fondamenta, si muove abilmente tra vari territori rock, iniziando con il glam di Complexity, poi il rock veloce, anzi velocissimo, di Got a Woman, fino al massimo del grottesco raggiunto in Skin-Tight Boogie, lenta e ammiccante pop song con tanto di voce anni ’80 a là Dead or Alive. Il citazionismo new wave è impressione confermata dalla cover di Save a Prayer dei Duran Duran, stravagante ma decisamente ben fatta. Si chiude con il rock trash di The Reverend.
Questo album è la conferma che Jesse Hughes e Josh Homme non hanno intenzione di cambiare ricetta ed effettivamente sembra che nessuno senta questo bisogno: a partire dall’esordio e lungo la loro carriera, tra album e live scoppiettanti, gli Eagles of Death Metal hanno dimostrato come la musica non debba essere per forza ricerca costante di nuovi linguaggi e sonorità inesplorate; hanno esaltato, invece, elementi già consolidati nel rock per un sound gradevole, coinvolgente e divertente. La mancanza di particolari ambizioni e pretese, nella loro musica, è tangibile e la loro proposta musicale è valida proprio perché hanno fatto di ciò un marchio di fabbrica curato nell’immagine e nel sound.
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