Jun, nome d’arte dell’autore patavino Alessandro Lucatello, è uscito con il suo nuovo disco Strategie Oblique nell’autunno 2015. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare il processo creativo che si cela dietro al suo primo album.
Strategie Oblique è il tuo primo album. Da dove parte il progetto?
L’idea del disco è nata a settembre 2014 dopo un breve viaggio fatto a Berlino e Amburgo. Alla fine, nel corso di un anno circa, mi sono ritrovato con 16/17 canzoni, tra cui ne ho scelte 11. Il disco, secondo me, era buono con quei brani e aggiungerne altri sarebbe stato superfluo e magari avrebbe reso il tutto un po’ troppo dispersivo.
Il riferimento al mazzo di carte, Oblique Strategies, creato da Brian Eno e Peter Schmidt volto ad aiutare il percorso creativo degli artisti è chiaro. Cosa ti ha colpito del loro lavoro?
Ho scoperto le Strategie Oblique grazie a Morgan di cui ne citava una all’interno di un programma televisivo. La frase in questione era “Onora il tuo errore come un’intenzione nascosta”. Mi ha colpito molto perché di solito quando si commette un errore risulta spesso una cosa negativa e non si guarda da altre prospettive. Perchè convincersi che quello sbaglio fosse voluto? L’errore può essere considerato come una sorta di variazione? Mi si era formata in testa una miriade di domande. Le Strategie Oblique fanno riflettere, anche perché ci sono delle frasi assurde. Ti fanno ragionare, ti aprono la mente e in un qualsiasi ambito artistico possono rivelarsi molto utili. L’interpretazione, poi, cambia a seconda del contesto, dell’umore, del tempo, ecc…Facendo una piccola anticipazione, in una canzone che farà parte del nuovo disco, ho citato “Onora il tuo errore come un’intenzione nascosta”, intendendo questa “strategia come un rischio del mettersi in gioco.
Lo Shoegaze e l’elettronica la fanno da padrone nell’album, ma non vietano contaminazioni da altri generi. So che è una domanda difficile ma, qual è il tuo concept musicale?
Mi piace avere un approccio di tipo “orchestrale” nelle canzoni, aggiungere strumenti su strumenti, provare ad utilizzare, per esempio, un violino in un modo che istintivamente si addice di più ad una chitarra. A volte funziona, altre meno. Non mi sento strettamente legato ad un genere, credo che nel disco lo si possa sentire. Però sono affezionato al fuzz, all’inizio tendo a distorcere ogni nota, poi mi rendo conto che non posso proprio fuzzare tutto, perché per quanto mi possa esaltare il Big Muff, mi accorgo che a volte le canzoni ne risentono e quindi cerco soluzioni più pulite.
So che stai già lavorando su un secondo disco. Come si sta evolvendo la tua idea di musica nel tempo?
Credo bene. Mi piace sperimentare. Penso sia molto importante per crescere. Ascoltare diversi generi, suonarli, provare a cantare in modi differenti, provare un riff su altri strumenti, smanettare sui suoni, jammare con altre persone. Sono cose fondamentali per un musicista. Poi più si invecchia più si diventa consapevoli dei propri mezzi e limiti, quindi sai con più facilità dove puoi osare di più e dove è meglio lasciar perdere. Sicuramente l’idea di mettere in alcune canzoni del disco nuovo, le trombe o i bonghi, anche se fatti col computer, fino a qualche tempo fa non mi sarebbe passata neanche lontanamente per la testa.
Tornando a parlare di Strategie Oblique che, come hai precedentemente affermato, è il frutto di un’esperienza in giro per la Germania. Cosa pensi ti possa aver colpito maggiormente?
Sono stato in alcuni locali a Berlino e dal punto di vista musicale una delle cose che mi ha più colpito è stata l’attenzione che le persone riservano per i musicisti. Quando iniziava il concerto il pubblico restava in silenzio fino alla fine, a parte durante gli applausi. C’era un silenzio quasi religioso, cosa che capita appunto solo in luoghi religiosi o, forse, a teatro. Ho percepito veramente il grande rispetto che il pubblico ha per il musicista o il gruppo in questione. Qui in Italia la situazione purtroppo è un po’ diversa.
11 canzoni per 11 storie differenti, non hai tracciato una sola linea, lasci l’ascoltatore libero di seguire quella che preferisce. Come sei riuscito a scindere le varie esperienze?
E’ stato tutto abbastanza naturale e spontaneo. Non avevo pianificato nulla, nel senso che, non mi sono focalizzato sulla scelta delle storie da raccontare canzone per canzone. I testi sono volutamente abbastanza liberi di essere interpretati come ognuno meglio crede. Ritengo che sia più giusto così.
Giulio Paghi
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