Gran ritorno a Urbanweek! Cassandra Raffaele ci parla del suo ultimo (e super moderno) album “Chagall” e ci racconta aneddoti, retroscena e anche qualcosa di interessante in merito alla promozione radiofonica.
Mi parli dell’ispirazione che ha dato vita a Chagall?
Chagall è nato un po’ per gioco, l’ho scoperto vivendolo. Avevo tra le mani gli strumenti ed ho cominciato a fare dei riff di basso/synth… a pensarci dei mondi…dei mondi sonori che potevano ospitare delle parole, parole di storie e parole anche di vissuti, di miei vissuti o di quelli di altre persone. E’ nato un po’ così, come un incontro di suoni e pensieri abbastanza surreali. Poi io non sono una persona che scappa dalla vita, dal reale, ma cerca semplicemente delle prospettive per viverla, per osservarla. 
Nell’album hai sperimentato molto coi suoni, stravolgendo quelli della valigia con le scarpe. Cosa ha ispirato questo cambiamento?
I suoni di Chagall sono un po’ diversi rispetto a “La Valigia con le Scarpe”, questo perchè fondamentalmente penso che la musica è come una grande tavolozza. Gli strumenti sono i mezzi attraverso i quali tu disegni delle cose, crei delle scenografie. Se una canzone fosse un film, potrebbe avere personaggi che cambiano, città che cambiano, anche location diverse. Ciò che rimane è la mano di chi scrive queste storie, rimango io con il mio modo di vedere le cose, il mio modo di scriverle, di viverle. Però, mi sono messa in uno stato di totale libertà, per ricercare anche attraverso l’accostamento e la sperimentazione di questi suoni, che avevo a disposizione in questa tavolozza per creare qualcosa che fosse molto identificativo, riconducibile a Chagall e quindi a me.
Anche il tuo look si è completamente stravolto. Quanto è importante oggi associare l’immagine alla propria musica?
Oggi associare l’immagine alla musica e cercare di creare una continuità nella comunicazione, dal punto di vista artistico, rispetto a quello che proponi, secondo me è fondamentale. In questo ambito poi si gioca tanto. A me piace molto giocare, mettermi sempre in discussione, ma sempre perché penso che ogni progetto deve essere vissuto con la sua “identità”, con quello che racconti. Deve essere molto rispettato quello che è l’ambiente sonoro, proprio perchè penso che ogni album sia una storia a sé, che deve essere raccontata con dei suoni. Anche io devo cercare di farti capire subito, da pochi dettagli, quello che tu puoi trovare dentro. A maggior ragione nel periodo storico in cui viviamo, dove davvero in un click devi essere capace, anche attraverso la condivisione sui social, di descrivere e dire tutto. Oggi l’immagine deve aiutarti in questo, quindi la sento come un’esigenza non solo personale, come attitudine, ma anche incardinata nel periodo in cui stiamo vivendo.
Il brano di Chagall di cui sei più orgogliosa!
Guarda, sono tanti i brani contenuti all’interno di questo album di cui sono orgogliosa, ma uno di quelli che mi piace particolarmente è Chagall; per assurdo è l’apripista. Ce ne sono tanti a cui sono legata per diversi fattori, ma con Chagall posso far capire subito all’ascoltatore, posso farlo subito accomodare e descrivergli quello che insomma è l’esperienza musicale che ho vissuto all’interno di questo album, proprio per le contaminazioni che presenta e per l’ambiente sonoro che ho dipinto e realizzato.
Ci racconti un aneddoto relativo alle collaborazioni del disco?
In merito alle collaborazioni ci sono tanti aneddoti, in particolar modo ricordo il viaggio che feci per andare a trovare Brunori, quindi Dario. Lui si trovava in Calabria, io a Roma. Fu un lungo viaggio, un tratto del quale fu fatto con un trenino elettrico, una scena molto fantozziana. Fu splendido il nostro incontro, venne a prendermi in questa piccolissima stazione e andammo a casa sua e fu bello questo incontro d’altri tempi, sembravamo in un film degli anni ’70, visto che io non avevo la macchina e mi sono avventurata con questi treni, che solo noi al sud possiamo ancora avere.
Invece l’incontro con Elio è stato bellissimo, visto che la decisione del brano fu fatta praticamente a pranzo. Ci fu un invito, ci siamo visti, abbiamo pranzato, io avevo il mio iPod con la preproduzione del brano, glielo feci sentire e furono tre minuti belli, comici, perchè vedevo la sua faccia che cambiava espressione con un atteggiamento molto compiaciuto. Ricordo con affetto questi attimi delle mie collaborazioni.
In rete sta girando una petizione per portare la musica italiana emergente in radio. Pensi che se fosse prevista una quota obbligatoria da mandare in rotazione, sarebbe più semplice diffondere la propria musica?
In merito alla petizione per l’apertura delle radio alla musica indipendente sono assolutamente favorevole. Penso che bisogna aiutare la musica, anche perchè non è una questione di coraggio, bensì si deve trovare la voglia di attuare questo cambiamento. Non penso che la gente, se becca in radio un bel brano, lo skippi e vada avanti. Lo ascolta così come ascoltiamo, e spesso subiamo, delle cose che magari ci vengono propinate così tante volte che anche non volendo ti ritrovi a cantare delle canzoni che non corrispondono neanche al tuo gusto. Quindi perchè no, io sono per invogliare ed imporre delle cose diverse alla gente, perchè magari si riesce ad apprezzare e in questo modo si viene a creare una sorta di accettazione e cultura anche con la diversità, proponendo delle cose diverse. E’ una cosa che fa bene e la radio dovrebbe essere regolata anche da un punto di vista di organizzazione, di direzione, così come avviene in tutte le radio d’Europa, dove ad esempio in Francia il 70% della musica è dedicato alla scena più emergente, perché si crede soprattutto nella sostenibilità della musica. In altri Stati si lavora per far sì che la gente che vive di musica,  ci possa campare e quindi i media sono a favore di questo sistema, mentre in Italia sembra che si faccia tutto al contrario. Si lavora per rendere la massima accessibilità, che poi spesso non si traduce con una presa di consapevolezza, coscienza di quello che è poi il valore di un disco, di quello che c’è dietro. E’ inutile che si stampino tantissimi dischi, se poi non ci sono gli spazi per fare la promozione. Il resto del mondo funziona in modo che gli Stati aiutino chi fa questo lavoro. Il musicista viene aiutato, i lavoratori dello spettacolo ricevono dei sussidi e c’è una politica che segue di pari passo quello che è appunto il lavoro di promozione del prodotto musicale.
Egle Taccia
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