“Salire o scendere, donare o prendere, dipende tutto da te…”
E’ così che i Perturbazione ci presentano il loro singolo, “Dipende da te”, estratto dal nuovo lavoro della band, dal titolo “Le storie che ci raccontiamo”, primo a essere stato pensato, scritto, arrangiato e realizzato nella nuova formazione.
Li ho incontrati per scambiare quattro chiacchiere e ne è venuta fuori un’interessante conversazione sulla musica, sulla precarietà, sulla difficoltà di vivere i rapporti, ma soprattutto su come tutto, inevitabilmente, dipenda dalla nostra volontà!
Quali sono le storie che ci volete raccontare col vostro nuovo album?
Sono le storie che stanno tra chi siamo e chi raccontiamo di essere. Le mezze verità che viaggiano tra una conversazione al bar o un post su uno dei tanti social che utilizziamo. E allo stesso tempo sono le storie di cui ci nutriamo per astrarci da quella quotidianità, le storie delle serie televisive, la grande narrazione, che parte da storie intime, in cui riusciamo a specchiarci, per renderle universali.
“Dipende da te” è un brano che parla di come tutto possa cambiare, grazie alla volontà. Cosa ha ispirato il testo?
Quando s’ immagina la vita dei musicisti si pensa alla bella vita e al glamour. Tutte queste cose non guastano, per carità, ma noi abbiamo tutti famiglia e figli, e la vita può essere molto dura, perché per noi l’idea stessa di precariato è piuttosto… fisiologica, direi! Dunque ricordare a noi stessi che la vita va affrontata piuttosto che subìta è fondamentale. È prima di tutto una canzone per noi stessi!
È accompagnata da un bellissimo video. Chi lo ha realizzato e come mai avete pensato all’animazione? Siete degli appassionati del genere?
Il regista e animatore è Bruno D’Elia, molto in gamba. Gli abbiamo lasciato carta bianca dopo i primi bozzetti che ci aveva mandato spiegandoci di voler lavorare sull’idea delle conseguenze: la teoria del battito d’ali della farfalla che causa un uragano, hai presente? L’unica indicazione che abbiamo dato è stata di mantenere anche un aspetto onirico e psichedelico dell’azione, e ci è riuscito alla grande! È come il ritornello della canzone: ‘C’è un mondo capovolto sotto ai piedi, che sale mentre scendi scale mobili’… a me ricorda molto più Escher, che un’idea di bene e male contrapposti.
Riguardo all’animazione, sì, siamo decisamente degli appassionati, in particolare io che ho fatto questo lavoro per tanti anni. I video di’Agosto’ e ‘Animalia’ e ‘Un anno in più’, nostre canzoni passate, sono tutti in animazione, prodotti e/o diretti da noi.
L’album è frutto della nuova formazione della band, è stato pensato, scritto, arrangiato e realizzato interamente da voi. Cosa è cambiato nello spirito del gruppo, nell’idea di band e nei vostri suoni?
È cambiato l’umore. C’è molta più serenità in sala prove. Si è anche semplificato il lavoro: Cris e Alex lavorano su molte idee musicali, riff e giri armonici; io e Rossano lavoriamo sui testi. Poi assembliamo tutto cercando l’amalgama ideale. È un lavoro di accumulazione: molte idee, molti appunti, e alla fine capisci cosa associare e come farlo.
“Trentenni” più che un brano sembra una fotografia della crisi dei sentimenti, della crisi dei rapporti, ripresa in un certo senso dalla storia di “Cara rubrica del cuore”.
Gli uomini di queste storie sono molto ingenui e piuttosto egocentrici e vacui; al contrario le figure femminili nascondono grande forza dietro alle proprie fragilità. Ma il senso che prevale è quello di spaesamento, rispetto al proprio tempo, all’ambiente in cui si cresce e si lavora e si tenta di amare.
Le donne, in particolare, non ne escono benissimo, intrappolate in un ruolo che da vittime le trasforma in carnefici. Pensate che abbiamo perso di sensibilità, che siamo peggiorate in questi anni?
Affatto. Noi pensiamo davvero che le donne, non solo trentenni, siano la salvezza dell’occidente. Particolarmente ora che questa parola, ‘occidente’ viene utilizzata per definire un mondo culturale messo in crisi da nuove minacce, reali o presunte che siano. ‘Woman is the nigger of the world’, diceva qualcuno parecchi anni fa. Molto è cambiato, ma molto rimane da fare. A noi uomini credo tocchi la sincerità, la trasparenza prima di tutto, se si vuole costruire qualcosa, non serve fare finta di essere femministi. Serve di più la sincerità, io credo. Partire dai sentimenti, anche sgradevoli. Poi si può tentare di costruire.
Com’è stato lavorare a questo album con Tommaso Colliva? Avete qualche aneddoto da raccontarci?
Tommaso è un vero ‘nerd’ della narrazione in forma di album. Il lavoro del produttore è assolutamente la sua cosa. Non gli interessa il live. È proprio nato per stare in uno studio, e per lui un album è letteralmente un viaggio. È stato bellissimo raggiungerlo a Londra, per necessità, perché lui vive e lavora lì, a stretto contatto con i Muse; ma quel viaggio era anche la metafora di una ripartenza per noi. Il primo studio, dove abbiamo registrato bassi e batterie, si chiama Tilehouse ed è lo studio che ha costruito Mike Oldfield appena fuori Londra, nella campagna, in un posto incantevole. Facevamo vita praticamente monacale. L’Hotel era a cinquanta metri dallo studio. Mug di caffé, passeggiate per rigenerarsi, Digestive al cioccolato fondente, dischi d’oro alle pareti. Siamo dei nerd, di base.
Cosa dobbiamo aspettarci dai vostri prossimi live?
Fuochi d’artificio 😉
Direi che la presenza di Andrea Mirò, quinto elemento perturbato sul palco con noi come polistrumentista, ci assicura non solo perizia tecnica ma anche il suo fascino e la sua femminilità.
Egle Taccia
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