I GattuZan, band umbra formata da Andrea Tocci (voce),  Federico Elia Marchetti (chitarra – voce), Alessio del Rosso (basso-voce), Lorenzo Possanzini (Synth-voce) e Rinor Marku (batteria), hanno pubblicato recentemente un doppio album intitolato DolceVita composto da ben 32 tracce! In questa intervista ci svelano tutti i dettagli raccontandoci anche la loro storia e  il significato del loro bizzarro nome!
 
Cominciamo con le presentazioni: chi sono e quando nascono i GattuZan?
Per circa 2 anni (2011 – 2013) abbiamo fatto di tutto per non diventare una vera e propria band nonostante quello sia stato il periodo di maggior flusso creativo per quanto riguarda la genesi di “DolceVita!”. Registravamo idee durante delle vere e proprie Cenae Trimalchionis a Uppello, tutt’ora nostro quartier generale. La necessità di provare a suonare i pezzi insieme in sala prove e di svilupparli per farne un disco è scaturita dall’idea che stavamo scrivendo ciò che avremmo voluto ascoltare in quel periodo.
Il vostro album  DolceVita  è  un doppio disco composto da ben 32 tracce! Come mai avete scelto di includere così tanti brani?
In realtà siamo andati in studio di registrazione (Igloo Audio Factory a Correggio) per registrarne circa 45, più o meno consapevoli dei rischi ma rigonfi di smania. Era Febbraio 2014, la pianura Padana era una grossa ragnatela fina, fitta ed oscura. Quando calava il buio eravamo terrorizzati dagli occhi dei cani che spuntavano da dentro la notte come lucciole Siberiane.
 Di cosa parlano le vostre canzoni? Essendo così tante, c’è un filo conduttore che è possibile rintracciare?
Noi ci rifacciamo al romanzo libertino, genere letterario molto in voga nel XVIII secolo in tutta Europa. Anche se preferiamo di gran lunga quello tutto nostrano di  Pietro Aretino e Giorgio Baffo.
Musicalmente avete descritto  DolceVita  un risultato ben riuscito di “cultural terrorism in lo-fi pop”. Spiegateci meglio in che senso le vostre sonorità possono essere definite così.
Siamo nell’era del “tutto sdoganato” e, soprattutto, ne abbiamo visto l’inizio. Per “DolceVita! ci siamo fatti spugne di questa nuova realtà che ci circondava, armoniosa o disagevole che fosse, per poi rigurgitarla tutta insieme, fondendo qualsiasi cosa al momento in un unico caleidoscopico flusso di coscienza , per poi realizzarlo in puro spirito DIY  e soffrendo come cani e ridendone. Tuttavia il nostro libero e sano terrorismo culturale lo si può scorgere ampiamente durante le esibizioni live. Per quanto riguarda il “lo-fi pop” ancora ce lo stiamo chiedendo.
Mi incuriosisce molto conoscere il significato del nome della vostra band e la scelta del titolo dell’album.
GattuZan è l’ultima parola di un breve componimento del Marchetti, illustre poeta della nostra città. Poesia che parla del vento funesto che sbatte tra le pareti di una serra. Il titolo “DolceVita!” l’abbiamo tirato fuori durante il compleanno di un nostro amico attore sul roofgarden dell’Hotel Bernini a Roma. Giravano vini e vodke pregiate e venivamo da un concerto pomeridiano per il consolato del Togo, sempre nella Capitale. Ci siamo presentati alla festa col viso ustionato e puzzolenti. Ci hanno accettato.
 Porterte DolceVita  in giro per l’Italia?
In Italia con la museruola, appena passato il confine libero e sfrenato.
 
 
A  cura di Laura De Angelis
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