Premessa: loro non lo sanno, ma i con i FASK sono in debito di una maglietta. Flashback: è il 22/11/2014, sono a Bologna da un paio di mesi e mi appresto a vedere dal vivo per la prima volta, al Locomotiv, i Fast Animals and Slow Kids. Non sono pronto, non si è mai pronti all’energia sprigionata live dalla band umbra. Ma la lezione si impara abbastanza in fretta, al concerto dei FASK si poga. Forte. Ne esco intontito, per il volume rigorosamente a 11, come insegnano gli Spinal Tap, qualche livido e un sorriso che va da orecchio ad orecchio. Tornato a casa mi rendo conto di una presa d’aria inaspettata: “Accipicchia – ho detto proprio così, giuro – ho strappato la maglietta”.
Ma torniamo al presente: in questo inizio di 2016 sono previste le ultime sette date del tour di Alaska, “occasioni uniche per salutare e ringraziare i fan”, leggo dal comunicato, ultimi live prima di “un lungo periodo di pausa dai palchi per dedicarsi alla lavorazione del nuovo disco in studio.” Scorro il calendario: Bologna, 29 gennaio – Locomotiv. Perfetto, penso. Leggo il live report entusiastico di Giorgia Molinari della data al Monk di Roma e comincio a gasarmi. Sono pronto. Credo. Magari vado in tuta, stavolta.
Il compito di scaldare il pubblico preparandolo al Grand Final dei FASK tocca ai Capra, nuovo progetto del chitarrista e voce dei Gazebo Penguins, Gabriele Malavasi. La sala si riempie, c’è aria di tutto esaurito, e i Capra ci mettono il loro, alzando l’asticella (e il volume) con la tripletta finale rappresentata da Mio padre faceva il fabbro, MLVGRL e Il lunedì è la domenica del rock, quest’ultima divenuta già un anthem e cantata a squarciagola da buona parte del pubblico.
Entrano anche gli ultimi ritardatari, il sold out è ufficiale. L’attesa cresce, quindi finalmente tocca a loro: sul palco si materializzano i Fast Animals and Slow Kids insieme a Nicola Manzan (Bologna Violenta) violinista e chitarrista aggiunto in queste ultime date. Boato, comincia lo spettacolo: si parte con Overture, che prepara al muro sonoro che seguirà, quindi già con Calci in faccia cominciano gli spintoni e il crowd surfing. Tutti i presenti intonano “Io non avrò mai più paura “ e per tutta la durata del concerto ci crediamo davvero. La scaletta mischia brani di Alaska e Hybris, si salta da un album all’altro senza che il pubblico ne rimanga minimamente disorientato. Quattro ragazzi davanti a me le cantano tutte. Tutte quante. “C’è la notte e c’è il silenzio”, ci ricorda Il mare davanti, ma qui il silenzio, per fortuna, non si sa proprio cosa sia. Non c’è una pausa, nessuna pietà per la folla, la setlist propone una mazzata dopo l’altra: si susseguono Combattere per l’incertezza, Te lo prometto, Canzone per un abete, Pt. II, quindi Treno. È un concerto progettato per arrivare distrutti alla fine, afferma Aimone, e qui nessuno stenta a crederci. Della tendenza a farsi male cantata ne Il vincente ho la prova davanti gli occhi, poi Coperta esorcizza la nostra paura di crescere. Spazio a Calce, quindi arriviamo alle canzoni più attese, almeno dal sottoscritto: è delirio per Odio suonare e Maria Antonietta, chiude Grand final: “Finché rido / resto in piedi / al futuro / sputo in faccia”. Breve uscita di scena e poi arrivano i bis, ultimo atto del piano di distruzione messo in atto dai FASK: Troia, A cosa ci serve e, infine, Come reagire al presente. Tutti insieme, ormai abbiamo dimenticato completamente il mondo esterno: “Ed io / che faccio parte / della schiera dei perdenti / comprendo il ruolo / il mio ruolo e lascio scorrere i pensieri come la pioggia / sulla finestra dei vent’anni”.
Finisce così, dalle casse si fa strada una vecchia canzone francese e, fra au revoir e bon voyage, sul palco i fiumi di birra fanno da sfondo agli abbracci e agli inchini della band. Intorno a me solo facce stanche ma sorridenti. Stavolta ne sono uscito indenne, sì, ma subito mi assale un dubbio, chissà quanto dovremo attendere il loro ritorno. È insostenibile, la pazienza non rientra tra le mie virtù. Poi mi viene un’idea: ragazzi, facciamo così, non lasciateci troppo sulle spine, fate risuonare presto il consueto urlo “NOI SIAMO I FAST ANIMALS AND SLOW KIDS E VENIAMO DA PERUGIA” e io dimentico tutta la faccenda della maglietta…affare fatto?
Fabio Fontanaro
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