Abbiamo intervistato gli ONO, band romagnola, il cui album d’esordio Salsedine è uscito circa un mese fa ed è pieno di spunti interessanti sulla musica elettronica in sé e come elemento da accompagnare al rock. Salsedine, inoltre, è davvero ben fatto da molti punti di vista ed è anche per questo che abbiamo voluto saperne di più. Ecco, dunque, gli ONO.

Il 15 dicembre è uscito Salsedine, il vostro primo album. Qual è, in breve, la storia degli ONO e delle esigenze espressive che hanno portato a Salsedine?

Gli ONO nascono circa due anni e mezzo fa. Suonavamo già da tempo insieme o in altre formazioni o semplicemente tra di noi. D’un tratto ci siamo trovati curiosi di sperimentare qualcosa di “nuovo”, l’elettronica, un genere che ci era già conosciuto ma poco usato nella nostra zona; non potendo abbandonare le nostre formazioni musicali abbiamo deciso di unire il rock e i suoi derivati all’elettronica. Rimanevano i testi: volevamo parlare di ciò che ci era noto, a noi e a chi ci avrebbe ascoltato, senza retorica, ironia pedante e ambiguità.

Ascoltando Salsedine mi ha sorpreso la sensazione di avere a che fare con qualcosa di veramente nuovo e inedito, soprattutto dal punto di vista del sound. Quali sono stati gli ingredienti, stilisticamente parlando, che hanno portato a questo risultato?

Siamo influenzati da tutto ciò che ci ha cresciuto, dal rock classico al pop commerciale di Mtv. La nostra fortuna è che ognuno di noi quattro ha un gusto e una sensibilità diversa per quanto riguarda la musica, e anche uno studio diverso su diversi strumenti. Probabilmente questi sono gli ingredienti che hanno portato e che stanno portando a quello che siamo, quattro teste con quattro idee differenti. Come influenze: da Chet Faker, Subsonica, Blake e Todd Terje ma anche Pantera, Slayer e Dj Gruff.

Ho letto che il tema principale del disco sono i ricordi di infanzia, soprattutto quelli legati all’immaginario del mare e della campagna. Il progetto di mantenere una continuità tematica mentre la musica va avanti nella sua complessità formale è ambizioso ma ben riuscito, secondo me, nel vostro caso. Ho notato e apprezzato come la musica tentasse di evadere oltre i confini formali che avete dato ai brani, e come venisse puntualmente riportata al suo posto dal testo. Quali difficoltà avete incontrato durante la realizzazione dell’album in tal senso?

Non abbiamo incontrato molti ostacoli se non quelli relativi al lavoro che abbiamo dovuto affrontare per i vari testi. Cesare scrive i testi, butta giù le idee e li imposta per il brano, poi ne segue un lavoro di lima, di pulizia da parte di tutti e quattro, in modo che possano arrivare al succo, siano semplici e non contengano elementi superflui. Per quanto riguarda l’unione con la musica, ogni testo nasce e funziona solo per quel brano particolare, così nei brani nei quali la musica la fa da padrona, il testo si riduce a poche righe e viceversa.

I primi due pezzi La musica elettronica e Krauti a merenda fungono un po’ da disclaimer, prima di confrontarsi con l’integrità tematica del resto dell’album, creando una sorta di contesto di metamusica in cui prendete una posizione netta nei confronti dell’elettronica. Nel vostro caso come è avvenuta l’introduzione di suoni elettronici nel sound?

La prima grande novità introdotta è stata il sintetizzatore Korg. Ricordiamo bene, era fine estate e abbiamo fatto questo piccolo esperimento: ci siamo trovati in sala prove, ognuno al suo posto (anche se ancora non sapevamo quale fosse il ruolo di ognuno) e abbiamo improvvisato un giro mettendoci piano piano anche il Korg. Ne è seguita la scrittura di tutta la parte elettronica, l’introduzione di altri sintetizzatori per lo più digitali. Poi ogni tanto perdevamo l’equilibrio e cercavamo di recuperarlo, è stato un po’ come bilanciarci, non volevamo che l’elettronica prendesse il sopravvento ma nemmeno che non fosse una componente decisiva.

In definitiva, tra le riflessioni esplicitate all’inizio del disco, la continuità tematica, i richiami interni e tutto il resto, Salsedine è un lavoro complesso e coeso. Quanto è durato in tutto il processo creativo e realizzativo?

Per quanto riguarda la scrittura dei brani da quando abbiamo iniziato a suonare fino a quando abbiamo inciso il disco: ogni tanto ne componevamo uno nuovo, con un testo nuovo e lo limavamo, pulivamo. Le registrazioni sono durate invece circa sei mesi, con tempi calmi, non abbiamo mai avuto fretta.

Quanto è importante la dimensione live per gli ONO? Se ci sarà un tour per Salsedine, quale sarà il rapporto tra ciò che avete registrato e ciò che eseguirete dal vivo?

Il live, possiamo dire, è la parte più importante degli ONO, nasciamo live e viviamo attraverso i live. L’esigenza di incidere un disco che fosse un riassunto del live si è posta dopo alcuni mesi di concerti, volevamo poter avere qualcosa di materiale per chi non ci poteva sentire in concerto; ora che il disco esiste però è solo un’appendice di ciò che facciamo, una versione portatile del concerto. Detto ciò, il disco e il concerto sono abbastanza differenti: i brani sono quelli, ma vengono ampliati, arrangiati diversamente, a volte anche da live a live. Chiunque venga a sentirci riconoscerà i brani, potrà canticchiarli se conosce i testi e ballare con noi, ma avrà anche divertenti sorprese se proviene dall’ascolto di Salsedine. L’altro fattore è il numero dei componenti: siamo in quattro ma capita spesso che si suoni in tre o anche solamente in due. A seconda di quanti siamo i pezzi sono arrangiati in maniera diversa o anche a seconda di dove suoniamo. Quello che invitiamo a fare è ascoltarci live, venirci a vedere e poi ascoltare Salsedine, oppure, se si è ascoltato prima Salsedine non fermarsi al disco, il live è più della metà degli ONO.

Articolo di Giuseppe Tancredi

http://credit-n.ru/zaymyi-next.html