Di origine tarantina e torinese di adozione, si definisce un pugliese atipico, piuttosto riservato e formale. La musica gli permette di esprimersi, e grazie ad essa ha superato tante barriere. Il suo nome è Salvatore Piccione, in arte Salvario. Il 7 dicembre scorso è uscito il suo Ep dal titolo omonimo – Salvario – L’Ep è nato dalla fortunata collaborazione con i Nadàr Solo. Leggete cosa mi ha raccontato…
Ciao Salvatore, parlaci un po’ di te… come nasce la tua passione per la musica?Tendenzialmente parlo e mi espongo poco, perciò la passione per la musica nasce proprio in controtendenza rispetto a questo mio lato caratteriale. Con la mia chitarra posso esprimermi, facendolo in maniera creativa. La musica mi ha permesso di superare tante barriere.
In precedenza eri uno dei componenti del trio indie-rock Karma in Auge, quanto ha influenzato il tuo percorso questa esperienza? E da dove nasce l’esigenza di un progetto solista?
Faccio ancora parte dei KiA, anche se il progetto è in stand-by. Mi porto dietro tanto di quell’esperienza perché mi ha formato come musicista. Devo molto per questo a Mimmo Frioli e Giovanni D’Elia, che completano il trio, anche a livello umano. Il progetto solista nasce col mio trasferimento a Torino: la nuova città mi offriva tanti nuovi stimoli e delle preoccupazioni che, come al solito, ho poi riversato in musica.
E’ uscito il 7 dicembre il tuo Ep – Salvario –  quanto c’è di autobiografico in questo disco?
Molto. Sentivo l’esigenza di raccontarmi, di guardarmi alle spalle e di interrogarmi sul futuro. Il brano “Mare”, ad esempio, ripercorre per immagini quella che è stata la mia adolescenza e la mia prima giovinezza in provincia, a Taranto, quando si attendeva l’estate, la stagione più bella!
Il brano che chiude l’Ep  – Tutto quello che ho da dire – è forse quello che coinvolge di più emotivamente, c’è un destinatario preciso?
Credo che ognuno di noi abbia qualcosa in sospeso con un proprio caro che non c’è più. Dopo aver scritto il testo non riuscivo quasi a cantarlo. Lì mi son reso conto d’aver toccato delle corde profondissime. È un brano malinconico ma pieno di speranza, scritto con la voglia di trasformare tutto in un bel ricordo.
 Sei pugliese, ma hai deciso di trasferirti a Torino… pensi che la tua terra, e più in generale il Sud, non siano in grado di offrire opportunità in campo musicale?
La vera differenza è che a Torino c’è una scena musicale, c’è un pubblico e quindi anche un mercato musicale. Questo dà la possibilità di stare a stretto contatto con le figure professionali: promoter, manager, discografici, giornalisti, colleghi musicisti. Le opportunità si moltiplicano. In Puglia o a Taranto nello specifico, che rimane una realtà di provincia, è tutto più difficile e frammentario. Si fa più fatica a trovare un confronto valido e duraturo. Ci si sente più soli perché la musica forse non è mai una priorità un po’ ovunque in Italia, ma probabilmente al Sud, o nelle realtà di provincia in generale, lo si avverte di più.
Hai lavorato all’Ep insieme a Matteo De Simone e Federico Puttilli dei Nadàr Solo, come è nata questa collaborazione?
Ricordo ancora l’incontro con Matteo. L’appuntamento era in Piazza Statuto a Torino. Ci conoscevamo appena e lui mi abbracciò per salutarmi. Per un pugliese questo è un segnale forte, soprattutto per un pugliese atipico come me, piuttosto riservato e formale. Ero appena arrivato in città, quindi cercavo di entrare in contatto con i musicisti locali. Lui fu uno dei primi e uno dei più disponibili. La verità poi è che i Nadàr Solo sono una grande band. Passato un po’ di tempo avevo delle canzoni, ma non una formazione. È stato naturale proporre anche a loro una collaborazione. Fortunatamente hanno accettato e tutto è andato per il meglio. Matteo ha curato gli arrangiamenti, Federico si è occupato delle registrazioni e del mixaggio. Abbiamo lavorato bene e con serenità. Ho fatto la scelta migliore!
Progetti futuri?
Pubblicare un album, questa è la priorità. Nel frattempo suonare il più possibile dal vivo.
 C’è qualcosa che vorresti aggiungere?
Ci sono tante cose che vorrei aggiungere, ma preferisco che siano le mie canzoni a farlo.
 
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A cura di Simona Bascetta
 
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