A volte capita di imbattersi per caso in un brano e di rimanerne assolutamente folgorati. E’ quello che è successo a me ascoltando Cold, singolo di debutto di Giungla, alias Emanuela Drei (Heike Has The Giggles, His Clancyness), che grazie a questo brano ha dato il via alla sua carriera solista. E’ in fase di ultimazione il suo primo album, che vede la produzione di Federico Dragogna dei Ministri e che dovrebbe essere pubblicato nei primi mesi del 2016. Ho incontrato Emanuela per conoscere meglio il suo nuovo progetto e scoprire qualche anticipazione sull’album.
Tu hai già alle spalle una bella carriera nella musica. Ci racconti la tua storia?
Ho iniziato a suonare il pianoforte all’età di cinque anni, poi a dodici sono passata alla chitarra elettrica. Non so nemmeno come e perché, ma poco dopo ho iniziato a registrare su cassetta, facendo anche delle specie di sovra-incisioni. Il risultato era abbastanza buffo, ma mi ci dedicavo parecchio e da allora non ho mai smesso di appuntarmi cosa mi passa per la testa, registrare melodie e cose così.
Nel 2007 ho formato Heike Has The Giggles con Guido e Matteo. Siamo cresciuti assieme e abbiamo fatto un sacco di cose belle, molte prima che esistessero i like o fosse “normale” condividere praticamente ogni cosa che ci riguarda e spesso dimenticarla un attimo dopo, il che ai miei occhi le rende ancora più speciali.
Nel 2013, Jonathan mi ha contattata perché lui, Jacopo e Giulia cercavano un bassista per His Clancyness. Così, dopo un paio di prove e senza nemmeno il tempo di realizzarlo, siamo partiti in tour ed è stato un anno incredibile.
Devo tantissimo a queste persone e a queste esperienze. La scelta di metterli in stop è stata molto difficile e sofferta, ma non sono il tipo di persona che sa gestire più progetti con la stessa intensità e sentivo che era come arrivato il momento di buttarmi in qualcosa che stavo rimandando da tempo, avevo bisogno di un output diverso e di mettermi alla prova. Così eccomi qui.
Per il resto, la mia storia è credo come tante altre; non riesco a stare senza musica (ma non sono nemmeno una di quelle persone che se c’è una chitarra in una stanza la prende e si mette a suonare davanti a tutti), è come una cosa mia, mi fa sentire un po’ meglio con me stessa.
Perché hai scelto di chiamarti Giungla?
Sono appassionata del lavoro fotografico di Luigi Ghirri, così un giorno ho preso sotto mano un vecchio atlante che ho trovato in casa per guardare delle mappe, perché ero curiosa di vedere se per caso avessero lo stesso stile grafico di quelle fotografate da lui.
Sfogliando ho trovato anche delle schede di approfondimento su diversi tipi di ambienti naturali (tundra, steppa, foreste pluviali, ecc.) e mi sono messa a leggere qua e là finché non ho trovato la parola “giungla”. Ho deciso immediatamente che quello sarebbe stato il nome giusto. Era da un po’ che stavo cercando una parola italiana, ma che potesse suonare familiare anche a chi non parla questa lingua, che fosse immediata, ma anche piena di significati e che rappresentasse soprattutto un’attitudine. In qualche modo è quasi come se fosse arrivato prima il nome di tutto il resto e questa cosa mi ha aiutato molto a capire cosa volessi.
Cosa ha ispirato questo nuovo progetto?
Ho una sorta di aneddoto: tempo fa sono finita a cercare il sito de Le Tigre, per vedere se fosse ancora online, visto che purtroppo i siti di un sacco di band non più attive tendono a sparire. Non solo il sito esiste ancora, ma ho trovato pagine in cui è elencata dettagliatamente il tipo di strumentazione che hanno utilizzato per suonare dal vivo, in studio e in fondo c’è questa frase: “OK, NOW THAT YOU KNOW ALL OF OUR SECRETS, START YOUR OWN FEMINIST ELECTRONIC BAND AND COME KICK OUR ASSES!!! Love, LT”. Insomma, mi piace pensare che è sicuramente un po’ anche grazie a questo spirito e a personaggi come Kathleen Hanna se continuo a dirmi che vale la pena provarci.
Che tipo di sonorità dobbiamo aspettarci dall’album?
I pezzi sono abbastanza diversi tra loro, come scrittura e mood, quindi era necessario trovare una direzione riconoscibile, che devo dire è uscita in modo molto naturale e immediato; la maggior parte delle take sono uniche, perché ho registrato quasi tutto passando attraverso degli effetti, con poco margine di modifica a posteriori. Ne è uscito un sound molto in your face, che penso rispecchi perfettamente l’atteggiamento che c’è dietro e quello che sarà il live.
Il disco vede la produzione artista di Federico Dragogna dei Ministri; come è nata la collaborazione?
Federico l’ho conosciuto nel 2009 quando suonammo al Mi Ami con HHTG; se non ricordo male, venne a presentarsi dopo il concerto e facemmo una marea di chiacchiere. Da quel giorno abbiamo diviso il palco assieme parecchie volte, ci ha ospitati a casa sua quando avevamo bisogno di un posto dove stare, l’ho stracciato a PES… e tra musicisti è già molto facile ritrovarsi ad intervalli di anni e parlarsi come se non fosse cambiato nulla, ma lui con il tempo è davvero diventato un amico, uno che in qualche maniera sa sempre darti un consiglio. Quando mi sono ritrovata con questi pezzi e con il bisogno di ordinare le idee, chiamarlo è stata la cosa più naturale che potessi fare (oltre al fatto che ovviamente avevo già avuto modo di apprezzare il suo lavoro come produttore – quindi sono doppiamente onorata di averlo al mio fianco).
Di cosa parla Cold, il tuo primo singolo?
Cold parla dell’incattivirsi o stressarsi senza un motivo, di essere annoiati o tristi senza sapere perché, dell’aver perso curiosità perché ogni cosa ci viene servita davanti agli occhi senza sforzi, di sentirsi atrofizzati da tutto e niente. Allo stesso tempo è un pezzo che vuole reagire e alla fine è come se si liberasse anche dalla propria struttura, il solo diventa quasi spensierato, come per dire “non so voi, ma io vado a farmi un giro”.
Il singolo e il progetto hanno già avuto un’ottima presentazione su Impose. Hai in mente di girare il mondo con la tua musica?
Spero di riuscirci!
Hai contato esclusivamente sulle tue forze per realizzare questo progetto. Cosa ti ha spinta verso questa scelta?
Inizialmente volevo una band, ma man mano ogni minima cosa diventava una complicazione ed era davvero come se la musica non c’entrasse niente. Ad un certo punto mi sono resa conto che, se anche fossi riuscita a far partire tutto, con quei presupposti al massimo si sarebbe creato un qualcosa in cui ci si racconta di pensare in grande, ma per cui in fondo non si vuole rischiare nulla e da cui ci si fa coinvolgere solo se le cose “funzionano”.
Così, dopo essermi fatta prendere dallo sconforto, aver cambiato idea un sacco di volte come mai mi era capitato, ho deciso di buttare via la maggior parte del lavoro e ho ripensato tutto da capo con l’unica certezza che sarei stata da sola. Non sento di essermi accontentata o di aver rinunciato a qualcosa di più articolato, anzi, penso di aver trovato il modo migliore per poter pensare a lungo termine e soprattutto ho capito cosa faceva davvero per me.
Ti spaventa affrontare il pubblico da sola?
Non più di tanto, anzi, credo mi farà bene per crescere sotto tanti aspetti. Sinceramente mi preoccupa di più l’eventualità di trovarmi in difficoltà nelle situazioni pratiche (come ad esempio guidare o scaricare ad orari assurdi), ma sono curiosa di vedere come me la caverò.
Farò le prime date a febbraio, ma inizialmente si tratterà principalmente di occasioni particolari, una sorta di anteprima. Spero di poter annunciare al più presto l’uscita!