Napoletani doc, I Profugy ci presentano il loro primo Ep, La nostra comunità: una lucida analisi del nostro contesto sociale, messo a nudo attraverso storie reali raccontate con toni sarcastici e provocatori. Gli abbiamo fatto qualche domanda sulla loro musica, sul legame con la loro città e non solo.

Ho ascoltato il vostro primo Ep, La nostra comunità, che si contraddistingue per come ridicolizza la società di oggi e per come invita alla riflessione tramite la provocazione. Qual è la storia dei Profugy? Cosa vi ha portato a fare musica e a farla in questo modo?

Nasciamo dai falò in spiaggia, quando inventavamo e cantavamo canzoni ironiche e provocatorie per il solo gusto di farlo. Ognuno di noi ha poi coltivato la sua passione per lo strumento musicale. Raccontavamo dei nostri viaggi, quel che ci succedeva, delle persone che incontravamo, quel che ci colpiva delle loro vite e dei loro pensieri. Ci trovavamo, così, a scoprire ogni volta nuovi mondi, nuove ideologie, senza nemmeno sapere come avevamo in mano storie di tutti i generi, di persone passate inosservate dalla società, dell’indifferenza, dei pregiudizi, delle diversità, di corruzione, di pensieri bizzarri, dei vizi, di convenzioni, insomma di un mondo visto da un’altra prospettiva. Ci piaceva accostare questa prospettiva agli occhi di un profugo, che ormai non ha più nulla da perdere se non quello che ha già perso, che non cerca una posizione nella società, ma cerca disperatamente se stesso in mezzo ad una civiltà ormai attaccata a futili convinzioni, che giudica ciò che vede per quel che è, senza vincoli, né distrazioni sociali. Pensiamo che nulla avviene per caso, non sappiamo perchè abbiamo preso questa strada, ma sappiamo con certezza che un motivo ci sarà.
Immagino che Napoli, la vostra città, abbia rappresentato e rappresenti per voi una grossa fonte di ispirazione. Vi va di parlarci, più nello specifico, del ruolo che ha nella musica dei Profugy?
Certo è che la nostra città ci dà modo ogni giorno di prendere spunto per una canzone, per la sue infinite sfaccettature. Indubbiamente gioca un ruolo rilevante anche per quanto rigurda l’approccio che abbiamo con la musica stessa. La maggior parte dei napoletani vive non prendendosi molto sul serio, ecco, noi questo ce l’abbiamo nel sangue. Amiamo ciò che facciamo e non lo rendiamo mai pesante, le nostre musiche, i nostri testi anche se affrontano discorsi seri, li affrontano sempre da un punto di vista diverso, velati da un’ironia beffarda perche noi ci divertiamo e ci teniamo che le persone che ci ascoltano percepiscano questa cosa.
Sempre per quanto riguarda la vostra città d’origine, le vostre canzoni sono cantate in un mix di italiano e dialetto napoletano. Da quali esigenze nasce questa scelta?
Il dialetto ci dà modo di esprimere i nostri pensieri al meglio. Non dimentichiamo che è la seconda lingua italiana. Alterniamo anche l’italiano perchè forse è giusto cosi, per permettere a tutti di capire davvero quel che vogliamo dire, è la nostra prima prerogativa.
Mi è piaciuto molto il contrasto fra i testi provocatori, sarcastici e in un certo senso impegnati, e le sonorità più spensierate come i fischi, i kazoo e l’ukulele. Da quali artisti, sia italiani che internazionali, considerate di aver preso ispirazione per il vostro stile? Più generalmente, che musica vi piace ascoltare?
Abbiamo ascoltato e ascoltiamo tante di quelle cose che ci risulta difficile rispondere alla domanda. Possiamo dire che abbiamo cercato di assimilare tutti gli ascolti e racchiuderli in uno stile nostro. Durante i nostri live tributiamo la Bandabardò con delle loro canzoni. E’ un gruppo fortissimo che abbiamo sempre ammirato.
Il pezzo che dà il titolo al vostro EP è stato accompagnato da un videoclip, disponibile su youtube. Ce lo raccontate?
L’idea è nata circa 6 mesi prima dell’uscita. Avevamo questo pallino di realizare qualcosa che andasse oltre le nostre reali possibilità. Lo spingerci sempre oltre ci dà gratificazione. Così ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo messo su un qualcosa che, non per essere presuntuosi, ancora non si vede in giro, specialmente nell’ambito della musica emergente. Innanzitutto ci servivano molte persone per la realizzazione. Cosi abbiamo collaborato con la compagnia teatrale Loro di Napoli. Fantastici, simpaticissimi e professionali. Tre giorni di riprese non-stop in un teatro. Tanta fatica ma pagata dal risultato. La compagnia teatrale ha giocato un ruolo rilevante, grazie alla loro esperienza si è potuto realizzare ciò che avevamo in mente. Che dire della grande regia di Fabio Cacciapuoti? Regista giovane ma con i “controcazzi” per dirla in parole povere. Ci ha istruito a bacchetta e ha fatto sì che non si perdesse mai il controllo, con la sua calma snervante, sicuro che quel che stava facendo avesse avuto i suoi risultati. Non è stato facile tenere a bada più di cento persone, tra compagnia, service luci e comparse. Il video racconta La nostra comunità da una prospettiva diversa. Si evidenzia un pubblico bendato, contrapposto a personaggi “alti” non bendati sui palchetti del teatro. Bisognava assitere alla solita commedia della vita. Ma qualcosa va storto. Noi, i Profugy, grazie agli amici della compagnia, sabotiamo lo spettacolo e mettiamo in scena, la vita quotidiana, quella reale, ridicolizzando la parte potente della società. Tra lo stupore poi diventata ira dei potenti, le persone bendate percepiscono finalmente qualcosa di diverso che li porta a sbendarsi e correre in un ballo liberatorio finale sul palco del teatro. Lo slogan è “verimme sule chelle che ce vonno fa’ verè“. Ecco, vediamo solo quello che vogliono farci vedere. Noi vi facciamo vedere ciò che realmente è.
Nell’Ep, in sostanza, criticate la mancanza di individualità in una civiltà che ci impedisce di essere noi stessi e di fare le scelte che davvero vorremmo fare. Quali sono secondo voi i margini di miglioramento di questa condizione? Nelle vostre canzoni, quali sono gli elementi di speranza, se presenti, da cui ricostruire una comunità senza quelle che voi chiamate distrazioni sociali?
Le nostre canzoni non hanno ambizioni. Non hanno la presunzione di conoscere la cosa giusta da fare. Cerchiamo solo di evidenziare la realtà dei fatti. Forse l’unica presunzione dell’ep è di avere una personalità ben precisa che si distacca da questo falso buonismo, dalla disgustosa accettazione di quel che si vede. Parliamoci chiaro, anche i bambini ormai sanno che il mondo va a rotoli per colpa dell’uomo stesso, va a rotoli perché c’è corruzione, perché siamo insaziabili, perché in questa giungla ognuno di noi farebbe di tutto per raggiungere i propri obiettivi. Ma la cosa che davvero più ci fa incazzare è l’indifferenza, sapere che le cose non vanno bene ma invece di reagire, ci si coccola sugli aspetti futili e banali della nostra insignificante esistenza. È vero, è un discorso alquanto pessimista aggiunto alla considerazione che in questo momento non si evincono vie d’uscita da questa situazione. Ci spiegano sin da bambini come seguire le regole, quelle indotte dalla società, ci dicono cosa è giusto e cosa è sbagliato, ci imprimono etichette standard che per tutta la vita continueremo a considerare meritevoli di essere seguite. Così a modo nostro cerchiamo di dar voce ad una realtà scomoda che fingiamo di accettare perché ci conviene: conviene essere agglomerati alla massa per star bene. Non evidenziamo elementi di speranza, non perchè non ci siano ma solo perchè non ci sentiamo in diritto di farlo. Esponiamo semplicemente i nostri pensieri cercando di portare l’ascoltatore alla riflessione, provando a far immedesimare la persona che ascolta una nostra canzone. Noi siamo per la giustizia, quella morale, e lotteremo per portare avanti le nostre convinzioni, perché, giuste o sbagliate che siano, hanno determinato la nostra nascita, la nascita de I Profugy.
 
Articolo di Giuseppe Tancredi
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