Il 13 agosto si è svolta la seconda edizione dell‘Indiegeno Fest. Siamo a Tindari, nella magnifica cornice del suo Teatro Greco, sito in cui antichità, storia, arte e cultura, non moriranno mai. E quale scenario migliore dunque, per ospitare alcuni tra gli artisti più significativi del panorama cantautorale italiano?
Un cielo non proprio limpido e delle condizioni climatiche poco favorevoli hanno inizialmente destato un po’ di preoccupazione, rendendo difficoltosi i souncheck degli artisti. Ma alla fine si è scansato il pericolo e la musica ha vinto, anche se con non pochi problemi tecnici durante il corso della serata.
Un nipote che saluta lo zio sul palco, l’eccellenza dei GnuQuartet, la sensibilità e la delicatezza del grande Niccolò Fabi, un pubblico rilassato e più che partecipe, e l’energia dei Dimartino. Queste sono le sensazioni più forti, quelle che resteranno nella memoria per chissà quanto tempo. Ma procediamo con ordine.
A presentare il Festival è Alberto Quartana, capitano della Leave Music, l’etichetta discografica romana che ha ideato questa manifestazione. “ Dedico il Festival alla mia terra, ai siciliani e alle nuove generazioni che devono far crescere questa nostra isola”. Con queste parole Alberto Quartana ha introdotto la serata ed ha chiamato sul palco per i ringraziamenti tutto il suo staff, per poi presentare la prima artista che si è esibita inaspettatamente, ovvero Cassandra Raffaele.
La cantante ragusana ha eseguito “I muri”, un brano impegnato, ispirato alla vita di Peppino Impastato con il quale si è guadagnata il premio “Musica e Cultura 2015, Peppino Impastato”.
Come previsto dalla line up, il secondo a calcare il palco dell’Indiegeno è Tommaso Di Giulio che apre con Dov’è l’America?, primo brano del suo secondo album L’ora solare. Ironico ed espressivo, un cantautore che sa ben attirare l’attenzione e che dà istruzioni ad un pubblico che risponde altrettanto bene. Lui mescola le cose in maniera arguta ed intelligente ed è stata per me una bella scoperta: non conoscendo molte delle sue canzoni sono riuscita lo stesso a godermi lo spettacolo, per cui se posso fare una piccola parentesi, consiglio di non esitare e di andare ad un concerto anche se non si conosce bene l’artista. I concerti non sono fatti solo per cantare, ma anche per farci sorprendere da cose che non conosciamo. E Tommaso Di Giulio ha sorpreso.
Tra una pausa e l’altra si continua con i Dimartino. Grande energia, grande intensità. Sono proprio loro i migliori della serata insieme ai GnuQuartet e Niccolò Fabi. Hanno regalato al pubblico uno spettacolo unico ed energico nonostante qualche problema tecnico. Sono solo in tre, ma riescono a “spaccare” alla grande come se fossero in sei, o in sette?! Stra-ordinari, stra-fighi! Un plauso in più va al tastierista Angelo Trabace, fantastico!
Una parte recitata introduce il loro ingresso: è la voce del nonno del cantautore in un omaggio al piccolo paese, alle piccole realtà di tutti i giorni da preservare. Temi questi presenti nel suo ultimo album, che prende non a caso il titolo di “ Un paese ci vuole”, ispirandosi ad un passo de “La Luna e i Falò” di Cesare Pavese. E sono sempre loro a regalarci il momento più tenero di tutta la serata: un botta e risposta tra il nipote che dal pubblico saluta lo zio, e il cantante che risponde affettuosamente al saluto decidendo di dedicare il prossimo pezzo alla sua famiglia… proprio questo è come ha detto Dimartino: “Il bello di giocare dentro casa!”. Sul finale immancabili i pezzi forse più amati dai fans, “ Maledetto autunno” e “ Noi siamo gli alberi”.
Una donna in bianco illuminata dalle luci si mostra sul palco, è Levante, che con tutta la sua grazia e la sua dolcezza saluta il pubblico e apre il suo spazio con il brano “Abbi cura di te”. La cantante si muove per tutto il palco incitando il pubblico, solo un cuore e una voce, (forse anche troppa voce). La sua Alfonso manda in delirio tutte le gradinate, riuscendo a fare alzare tutti quanti che ballano scatenati tra le note del pezzo che l’ha resa celebre.
È la volta di Colapesce, che con grande rammarico, è colui che ha subito pesantemente i problemi tecnici manifestati durante il corso della serata. Un suono soprattutto nei primi brani inascoltabile, con dei bassi troppo forti. Il cantante ha continuato con grande coraggio la sua esibizione in condizioni difficili, scelta questa azzardata e non del tutto condivisibile, perché sarebbe stato decisamente più giusto fermarsi e chiedere aiuto ai tecnici che comunque, ben poco hanno fatto per cercare di correre al riparo. Una esibizione deludente che avrà sicuramente lasciato l’amaro in bocca allo stesso Colapesce, e che non ha reso giustizia nemmeno ai pezzi più preziosi come Sottocoperta, tant’è che sul finale decide di sdrammatizzare cantando nello stacco tra un brano e l’altro: “ Dimmi perché piangi, ora non mi va…”, facendo scappare qualche sorriso tra gli spettatori.
L’ultimo artista ad esibirsi, il più atteso, è Niccolò Fabi accompagnato dalla incantevole orchestra GnuQuartet. Delicato, umile, affascinante, apprezzato da sempre per la sua scrittura, per il gusto di una parola ricercata da una parte, ma che dall’altra ci parla di cose semplici e che ci trasporta in una dimensione spesso intimistica.
Si comincia con Milioni di giorni, poi presenta l’orchestra e saluta calorosamente il pubblico, confessando di essere incantato dal posto: “La contentezza di essere qui è totale” dichiara. Porta in scena i pezzi più conosciuti e più amati: E’ non è, Il negozio di antiquariato, Oriente, Solo un uomo, Una buona idea. Coinvolge l’intero Teatro chiedendo di cantare insieme a lui sottovoce, “perché a cantare forte ce la fanno tutti”, un pubblico attento e partecipe che come quasi mai accade ai concerti, rispecchia perfettamente l’artista. Ricorda della sua recente collaborazione con Daniele Silvestri e Max Gazzè e ci regala uno dei brani nati da questo trio, L’amore non esiste, il pubblico si fa sentire e Niccolò promette che porterà gli applausi “ai due compari”. Decide di dedicare il brano Costruire ai suoi colleghi, che con lui hanno condiviso il palco e complimentandosi con loro, per finire la serata in bellezza, li chiama sul palco.
Tocca per primo a Colapesce che scherza e introduce il brano di un noto cantautore “piemontese”, Franco Battiato. Così cantano tutti a turno La stagione dell’amore, e non vi poteva essere scelta migliore per questo grande finale.
Si conclude così la seconda edizione dell’Indiegeno Fest. Una serata indimenticabile e ben riuscita, nonostante i problemi tecnici e l’assenza di una band rock che avrebbe sicuramente spezzato l’atmosfera rendendo più eterogeneo il repertorio musicale della serata.
L’Indiegeno si qualifica come una bellissima realtà, una opportunità importante per portare la buona musica nella nostra terra e mi auguro che questo appuntamento venga rinnovato anche l’anno prossimo.
Simona Bascetta