L’intervista: Federico Poggipollini
Oggi vi propongo una bellissima intervista con Federico Poggipollini, noto come Capitan Fede, storico chitarrista del grandissimo Ligabue e già blasonato cantautore, che ci presenta il suo nuovo album, Nero, raccontandoci di come sia stato cullato da due diverse e lontanissime città; della sua ricerca di strumenti vintage, rigorosamente italiani e dei suoi progetti live, che lo vedranno giungere nelle nostre città nei prossimi mesi.
Buona lettura!!
Il nero è un colore che ha un significato particolare per te?
Il nero è il colore che per me è il colore del rock, io mi vesto spesso di nero. Un rockettaro è vestito di nero, non di bianco, in più è un non colore e rappresenta una sterzata che io ho fatto verso un genere che è questo, ho cercato di mirare in questo disco su un versante e basta, che è il suono più garage possibile e più rock possibile. Il titolo dell’album non è solo per quello, eh?! C’è anche musica black dentro, c’è soul, c’è groove, questa attitudine in cui sono andato un po’ a pescare il mio passato, le mie radici; quindi il titolo dell’album è lì perchè unisce vari aspetti. 
Blues e Rock, decisamente un lavoro diverso dai precedenti. Cosa ti ha ispirato il cambiamento?
Le vecchie cose erano per me, non finite, ma messe lì. Volevo fare qualcosa di diverso. Sono stato stimolato dai Black Keys e The White Stripes, che sono band di adesso, che hanno un po’ preso i classici tradizionali del blues e li hanno portati in una chiave moderna, semplicemente suonandoli oggi, con quel tipo di approccio, masterizzandoli con computer, quindi con robe più sofisticate ed ovviamente all’interno ci sono dei brani originali. Questa cosa mi ha stimolato, perchè anch’io vengo da quel mondo lì, arrivo da quel suono lì, quello dei classici. Mi sono detto perchè in Italia non riesco a fare una cosa così. In più il disco, cosa molto importante, è stato prodotto da Michael Urbano, che è americano ed insieme a lui abbiamo pilotato questo suono, perchè volevo proprio quel suono lì quel suono tipico, di quel tipo di rock. Anche sull’idea del mix la voce viene registrata come uno strumento. E’ stato registrato sì a Bologna, ma anche a Berkeley nel suo studio. Quindi c’è stata questa lavorazione. Volevo un disco che avesse il sapore del rock tradizionale.
Come ti sei trovato a lavorare con Michael Urbano, ha rispettato le tue scelte?
Siamo sempre stati in perfetta sintonia. Ci conosciamo perchè suoniamo insieme anche. Questa cosa ha aiutato. Ci siamo allineati alla perfezione, lui è una persona che ama mettersi in gioco, quindi abbiamo provato a far delle cose rischiose. Ad esempio abbiamo usato strumenti italiani d’epoca, che erano economici. La riproduzione e riprendere certe cose non è sempre facile. Ci ha stimolato molto, abbiamo creato questo suono. E’ stato tutto perfetto, sai quando le cose succedono e si mette tutto a posto. Non avevamo nessuna angoscia di farlo uscire in quel momento. Tutti e due siamo appassionati di musica e di suono, quindi abbiamo creato un suono particolare, i brani gli piacevano tantissimo. Anzi, li ha cantati, li ha fatti sentire, faceva dei test. L’unica cosa è che ovviamente non riesce a capire l’italiano, quindi gli ho tradotto i testi, ma lui è andato a tradurli da solo e stava molto attento e mi chiedeva molto che seguissi il flusso melodico, come fanno in America ed in Inghilterra dove tutto è musicale. Io quindi ho dovuto fare un lavoro massacrante sui testi, ho fatto veramente uno sforzo incredibile per mantenere il suono che avevo con il finto inglese, che avevamo usato in precedenza.
Due città, due diverse anime hanno segnato la nascita di questo lavoro, che sensazioni ti hanno lasciato?
Bologna è la mia città, Berkeley è una città che è un po’ simile. Dall’altra parte, un’altra cultura, un altro mondo, però simile…La puoi raggiungere a piedi, il clima sicuramente è migliore da loro e poi Michael ha una decina di anni più di me ed ha una frequentazione di persone simili, nel senso che io frequento, in tutte le città, persone che fanno parte della musica e persone appassionate di musica che fanno tutt’altro. Quindi mi sono ritrovato a portare Michael qui a Bologna e a fargli conoscere il mio mondo, i miei amici ed era gasato da questo e quando invece sono andato da lui è successa la stessa cosa. Aveva questi amici musicisti, mi portava nei negozi di musica, ma aveva vicino anche questi personaggi. Diciamo che è come se io e lui avessimo un vissuto simile, io ho due figlie, lui ha due figlie. Capito? E’ un insieme di cose che ci ha unito. Sai quando due caratteri si sposano perfettamente, per l’entusiasmo che abbiamo entrambi. Ci siamo trovati molto bene. Lui è un grandissimo musicista, si è appassionato al disco come fosse il suo della vita. Ad un certo punto voleva mettere sempre a punto delle cose, non era mai soddisfatto fino alla fine, è stato un lavoratore instancabile, è stato un lavorone e devo dire che, ogni volta che lui andava a ritoccare delle cose, era proprio per migliorare qualcosa. E’ uno che ha sempre vissuto il disco in maniera perfetta.
Ho letto che hai cercato degli strumenti particolari per la registrazione del disco…
Noi volevamo avere un suono che fosse quello diverso da quello che si sente normalmente. Siamo due appassionati di vintage, io avevo già un po’ di strumenti d’epoca italiani e lui che è un appassionato conosceva dei negozi a New York e San Francisco, che vendono solo strumenti italiani. Non siamo stati i primi. C’è una grossa ricerca di questi strumenti, perchè hanno un carattere tale che, messi a disposizione di un progetto nuovo, li porta a creare un qualcosa di diverso. Abbiamo fatto una ricerca di stile, perchè avevo tutti questi strumenti e quindi mi sono trovato stimolato da questa cosa. Abbiamo cercato un carattere da questi strumenti, per le tastiere Crumar, per gli amplificatori Davoli e per tante cose. E’ stato molto molto interessante, anche per me, per la mia formazione, perchè non  mi era mai capitato di fare un lavoro così dettagliato e diverso. Mi sono messo anche un po’ in gioco.
Chi è la più bella del bordello?
La più bella del bordello è la sensazione di un’adolescente silenziosa, bella, molto bella, che sta vivendo quel momento che viene dopo l’adolescenza. Quel momento dove non capisci bene dove vuoi arrivare, cosa vuoi fare, perchè ha intorno quest’aurea meravigliosa, perchè sprigiona bellezza e giovinezza. Questa è stata l’ispirazione ed è partito tutto da questa adolescente, ma poi il brano ha preso tutta una variazione propria.
Puoi già dirci qualcosa sul tour?
Io faccio un po’ di date a giugno, luglio e agosto, saranno soprattutto festival. Dopo mi fermerò; invece per l’inverno farò un bel tour promozionale. 
E’ stata davvero una chiacchierata interessante quella con Federico Poggipollini, che ne dite?
Ecco il video!

Egle Taccia
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