I Fask non hanno certo bisogno di presentazioni, saprete sicuramente tutto sulla loro musica, ma forse non immaginereste alcune cose sul loro conto…Scopriamole insieme!
Cos’è l’Alaska per voi?
Innanzitutto è un disco prima di essere uno Stato…cioè ufficialmente è uno Stato, dopodiché è un disco, il nostro disco…ma per noi ha una connotazione particolare, lo vediamo come quel posto inaccessibile in cui ti trovi catapultato e dove devi comunque vivere e agire. Quindi per noi l’Alaska è diventato un disco, perchè è come se al suo interno ci fosse questa cupezza, questa tristezza, questa distanza. Noi quello Stato ce l’immaginiamo così, anche se magari in realtà è felice, ma ce lo immaginiamo lontano, buio, cupo e pieno di neve.
L’album è urlato e di forte impatto. Che sentimenti avete riversato nel disco?
Differentemente dagli altri che sono sempre molto autoreferenziali, questo è anche temporale, cioè racconta un periodo di tempo abbastanza scuro e travagliato. Per questo è venuta fuori questa parte più disperata di noi, che si è trasformata spesso in rabbia, che è la rabbia che abbiamo messo nei testi e nel modo di suonare.
Odio suonare nasconde un po’ le fragilità di un artista?
Non credo, nasconde le fragilità delle persone che ascoltano gli artisti. Molto spesso non si pone un filtro personale a quello che dice un musicista. Di solito si pensa che un personaggio dica delle verità, ma in realtà quelle cose sono valide solo per chi le ha dette. Tu che ascolti devi avere un filtro e gestirle in maniera autonoma. E’ volta a deresponsabilizzare anche noi stessi rispetto a quello che scriviamo. Una canzone rappresenta un momento, magari anche per noi che la scriviamo, nel senso che dopo due giorni probabilmente anche noi non le diamo quel senso. Quel brano è una sorta di liberatoria, che ci esime da ogni responsabilità nei confronti del pubblico.
Prendendo spunto da un vostro testo, quanto è difficile per un musicista che si muove nell’ambiente alternativo/indipendente durare vent’anni?
Ancora non ci siamo arrivati (ridono). Se suoni adesso in Italia è impossibile proiettarti per così tanto tempo in lunghezza. Bisogna vivere il momento, ma questo non significa non voler progredire, ma semplicemente vivere il momento appunto per come lo si vive. Non si deve pensare a come durare vent’anni. Se duri, bene, se no vanno bene due anni vissuti intensamente. La musica non è uno di quei lavori con cui puoi fare progetti. E’ una cosa di cui conosci il rischio…che in fondo non è neanche un lavoro vero e proprio. Oggi riesci a camparci un mese, magari il mese prossimo no. Ci vuole un approccio puro ed istintivo.
Curiosando nel vostro merchandising, ho notato un accessorio particolare (un reggiseno). Che tipo di rapporto avete con le fan?
Con le fan? Amicizia pura! Da questo punto di vista siamo la band meno rock, perchè siamo tutti fidanzati o sposati…ah ma aspetta! Hai visto il reggiseno? Ce l’ha regalato un maschio! Un maschio formoso…Degli amici veneti con i quali ci vediamo sempre quando andiamo in quelle zone. Ci facciamo scherzi ed una volta ad un concerto ci hanno lanciato sul palco questo reggiseno, come si fa alle rock band, e da lì l’abbiamo sempre tenuto come portafortuna e lo mettiamo nel banchetto. E’ proprio orrendo, ma ci porta fortuna. Tornando alla domanda, il nostro è un rapporto tranquillo, sia che sia femmina o maschio, il rapporto è lo stesso: chiacchieri, li conosci. In fondo il bello di questo mestiere è conoscere persone, fare amicizia…raramente ci capita il rapporto “fan” e quello non lo sappiamo gestire. Quelle poche volte non lo riusciamo a capire. Spesso invece incontriamo persone che apprezzano quello che facciamo e nascono delle belle amicizie, questa è una delle cose più belle che ci capitano.
Momento aneddoto! Qualcosa di curioso che vi è capitato?
Bello, che fa ridere, tragico? Ne abbiamo tantissimi. Facci pensare…è come la domanda a piacere in cui sai tutto e al momento non ti viene in mente niente…eccolo! Abbiamo suonato in un ristorante specializzato in carne, dove c’erano delle persone che mangiavano una crema catalana e ci hanno chiesto di suonare Ligabue. Tra l’altro, a causa dei volumi troppo alti, noi suonavamo con gli strumenti elettrici, ma in acustico, ed è stato davvero imbarazzante. Il giorno dopo uguale, ma siamo anche rimasti a piedi ed era il giorno prima del primo maggio. La notte prima Aimone aveva lasciato le chiavi dentro la macchina, che poi ha chiuso ed il giorno dopo siamo rimasti a piedi ad Eboli, il primo maggio. Ci siamo fatti sfondare la macchina e siamo tornati a casa senza parlarci per tutto il tempo. Tra l’altro il carrozziere era una persona molto particolare…
Secondo me ve ne sono capitate così tante che potete raccontarne ancora…
Hai ragione…Per esempio quella volta in cui al chitarrista è uscita una spalla prima di suonare, l’abbiamo portato all’ospedale e poi ha fatto il concerto, salvo poi rimanere bloccato un mese. Quella volta in cui anche ad Aimone è uscita la spalla al Magnolia, serata in cui il fonico ha suonato la chitarra al posto suo. L’anno delle spalle!
Fan di Urbanweek, attenti alle spalle!
Egle Taccia
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