Ad oltre tre anni dalla pubblicazione di Dannato Vivere, i Negrita sono tornati col nuovo attesissimo album 9, che segna un ritorno alle radici del rock. Li ho incontrati per curiosare un po’ nei segreti di questo nuovo disco.
Quando sono nate le canzoni del vostro nuovo disco di inediti “9”, da subito al primo posto nella classifica di iTunes?
Sono tutte figlie del nostro periodo romano, di quei due mesi in cui eravamo impegnati con il musical “Jesus Christ Superstar”. È stata un’esperienza abbastanza straniante, non essendo abituati ad essere residenziali e non essendo degli specialisti del musical, ci siamo trovati nell’unico musical che poteva starci addosso. Ovviamente si andavano sovrapponendo i tempi con la discografia: mattina e pomeriggio eravamo in studio a Roma per comporre e arrangiare i pezzi dell’album mentre ogni sera eravamo in scena al Sistina a rappresentare un’opera a parer nostro stupenda. È ovvio che le due cose si sono influenzate tanto da farci venir voglia di essere travolti da quella condizione di vita e di suono che attraversa il musical. Abbiamo usato i ritmi legati a quel periodo (anni ’60 -’70), in cui si sperimentava e il rock iniziava ad avere delle pretese più alte rispetto ai primi anni ’60. Volevamo comunque realizzare un disco di cuore e non abbiamo potuto fare a meno di inserire anche una piccola venatura anni ‘80 (visto che apparteniamo a quegli anni). “9” è per noi un lavoro dell’anima, ricco di emozioni radicate.
Il singolo che ha anticipato l’uscita del disco è “Il Gioco”: che differenza c’è tra “rotolare verso sud” e “guidare verso nord”?
La strada non cambia, si tratta di un percorso musicale. Quando abbiamo deciso di rotolare verso sud andavamo alla ricerca della latinità, di radici profonde in un universo spesso estraneo alle logiche discografiche. Con “9” invece abbiamo voluto ripercorrere le radici anglosassoni della nostra musica e il nostro percorso adolescenziale, con la piena consapevolezza di essere nel 2015 e quindi con la voglia di ricollocare questa nostra esperienza nel presente. “Il Gioco” è un viaggio nelle strade tortuose della vita. Un uragano emotivo che travolge ricordi ed intenzioni, nel gioco più complesso col quale ogni essere umano è alle prese: la sua stessa esistenza.
Perché avete deciso di registrarlo in Irlanda?
I nostri dischi precedenti nascono all’insegna di viaggi importanti, in territori alternativi rispetto alla scena rock: Brasile, Spagna, Argentina. Questa volta la decisione di andare sino a Dublino non è stata una scelta per recuperare il senso del folk celtico, che non compare nel disco, ma perché lì abbiamo rivissuto l’atmosfera dei dischi che ascoltavamo e divoravamo durante l’adolescenza. Il Grouse Lodge, studio che ci è stato consigliato da un amico, aveva tutte le caratteristiche che ci servivano per registrare l’album: immerso nella campagna, silenzioso, lontano da distrazioni e con tutti i requisiti tecnici necessari. Inoltre in questo stesso studio hanno inciso diversi artisti importantissimi: da Michael Jackson ai Muse, dai R.E.M. agli Snow Patrol.
Cosa ci raccontate della simbologia della cover di “9”?  Gli elementi che la compongono hanno un significato particolare?
Nell’album c’è una canzone che si chiama “Niente è per caso. Noi siamo convinti che la musica sia un lavoro, ma abbia anche un aspetto magico ed esoterico. Abbiamo una spiritualità un po’ contraddittoria e quindi abbiamo scelto il Buddha di fianco nella copertina, che sembra essere la giusta mediazione. Ma ciò che rende così particolare l’iconografia della cover dell’album è la sua casualità: non ci siamo messi lì a comporla, è semplicemente venuta così.
 “Poser” è esplicitamente un brano di denuncia. Cosa potete dirci in merito?
In realtà il testo di “Poser” è scritto a quattro mani con il Cile, ed è stato molto divertente realizzarlo. L’intento era quello di ironizzare un po’ senza prendersi troppo sul serio. Però anche ironizzando si possono dire delle buone verità e noi vogliamo rimarcare una certa origine: non esistono più band che arrivano direttamente dalla strada, non esistono più i club e un pubblico fisico che si sbatte uscendo di casa d’inverno per andare in un club umidiccio a sentire musica però, per quanto ci riguarda, è la nostra storia e pensiamo che la musica che tutti noi ascoltiamo da decenni sia nata in questo modo. Quello che sta succedendo adesso alla musica è una cosa nuova, che è giusto che ci sia, ma questo non determina l’impossibilità di poter scegliere una strada alternativa, altrimenti sarebbe davvero un po’ triste. Abbiamo come la sensazione, lo diciamo noi perché forse abbiamo un po’ il canino avvelenato, che non si voglia più una verità, ma solo dei format e dei prodotti preconfezionati.
Cosa significa per voi “1989”?
1989 è un brano che cerca di raccontare quello che eravamo in quegli anni, sia come uomini che come musicisti. Non a caso è un brano riposto lì da 12 anni, uno spunto musicale che avevamo composto per l’album ‘L’uomo sogna di volare’ (la nostra prima avventura americana) ma che non aveva il giusto sound per quello che stavamo pensando in quel momento. L’anno scorso, quando abbiamo iniziato a fare i pezzi nuovi, Cesare è andato in archivio e ha tirato fuori questo pezzo che ci sembrava potesse sposarsi benissimo con le idee che avevamo per “9”. Pezzo vecchio e tematica anziana, sposalizio perfetto. Parla dell’89 anno di svolta per la nostra generazione, sono successe tante cose importanti, come il crollo del muro di Berlino, e volevamo raccontarle perché all’epoca nessuno ci faceva fare dischi.
Come trasformerete tutto questo in uno spettacolo dal vivo? E come si adatterà al suono di questo disco?
Per quanto riguarda il live l’idea è quella di portare in giro per l’Italia uno spettacolo di musica rock, più vera possibile. Abbiamo due nuovi elementi nel gruppo uno è Gando, il tastierista, che aveva già partecipato nel tour teatrale e acustico, e poi c’è il nuovo bassista, Giacomo, che suona con noi da un anno. Il tour non sarà qualcosa di diverso da quello a cui i fan sono abituati, noi vogliamo esprimere tutta la nostra energia. Questo tour nei Palasport sarà caratterizzato da schermi che riprenderanno quello che succede sul palco, le nostre espressioni, come ci muoviamo… Crediamo che questo possa essere un punto di forza, perché riusciremo ad arrivare non solo a chi occuperà la prima fila, ma a tutto il pubblico.
 Egle Taccia
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